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Irapuato
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18 Aprile - San Galdino - San Calogero di Brescia. Televallassina San Galdino Arcivescovo di Milano (1096-1176) Galdino nasce a Milano nel 1096. Il monaco Ilarione, suo contemporaneo e suo biografo,…Altro
18 Aprile - San Galdino - San Calogero di Brescia.

Televallassina San Galdino Arcivescovo di Milano (1096-1176)
Galdino nasce a Milano nel 1096. Il monaco Ilarione, suo contemporaneo e suo biografo, attesta che fu cancelliere e arcidiacono della Chiesa di Milano.
Visse nel momento cruciale della lotta dei Comuni contro Federico Barbarossa. E al Barbarossa l’arcidiacono Galdino si oppose apertamente, contrastando non solo la sua politica di oppressione delle libertà comunali, ma anche l’appoggio agli antipapa che l’Imperatore pretendeva di contrapporre al legittimo pontefice Alessandro III. Questa opposizione gli valse l’esilio, dal quale poi il papa, nel 1166, lo rinviò a Milano, come arcivescovo, insignito della porpora cardinalizia.
Come arcivescovo diede il suo pieno appoggio alla Lega Lombarda dei Comuni costituitasi a Pontida nel 1167 ed operò per la ricostruzione materiale e morale della città devastata dalle truppe del Barbarossa: ricostruì la cattedrale e il palazzo arcivescovile, organizzò la distribuzione del pane (che fu detto successivamente “pane di san Galdino”) e un ampio servizio di assistenza a favore del popolo prostrato nei debiti e umiliato nella povertà.
Favorì nel 1168 la fondazione di Alessandria (così chiamata in onore di Alessandro III), che fu il centro della resistenza al Barbarossa.
Combatté inoltre vigorosamente l’eresia catara, che voleva una Chiesa composta solo di “puri”, dimostrandosi intrepido difensore della fede.
La morte lo colse sul pulpito mentre predicava contro gli eretici il 18 aprile 1176. San Galdino occupa nella serie degli arcivescovi di Milano un posto di grande onore, dopo sant’Ambrogio e san Carlo.

Fonte principale: chiesadimilano.it/ (“RIV./gpm”).
Calogero o Calocero (nelle fonti agiografiche anche Caio) (Brescia, ... – Albenga, 18 aprile 121) è stato un militare romano, martirizzato ad Albenga sotto l'imperatore Adriano, che la Chiesa cattolica considera santo e la cui memoria liturgica ricorre il 18 aprile.
La sua vicenda è riportata dagli atti dei santi Faustino e Giovita[1]: originario di Brescia, si era convertito al Cristianesimo grazie all'opera missionaria dei due martiri. Anche loro infatti erano soldati bresciani e probabilmente i tre militavano nella medesima corte, tant'è che, raccontano gli agiografi, vennero tutti e tre trasferiti a Milano per essere processati. Il processo si svolse alle Terme d'Ercole ma nessuno dei tre abiurò la nuova fede. Fu così che, condannati a morte, vennero condotti presso un tempio fuori le mura, poco lontano dall'Anfiteatro, in uno spiazzo un tempo usato per le corse dei cavalli[2].

I tre furono legati a dei carri e, al segnale convenuto, i cavalli vennero liberati e i carri partirono a rotta di collo, tra gli urli e i fischi della folla. Ma un prodigio deluse la turba: i tre Santi riuscirono a governare i propri carri e riuscirono a fuggire così dal patibolo, evitando (per questa volta) il martirio. Caio Calocero in particolare riuscì a prendere la strada per Vigevano per proseguire fino ad Asti, rifugiandosi nella comunità cristiana locale. Lì, convertì al Cristianesimo Secondo, che andò a Milano a farsi battezzare e ad aiutare i vecchi amici Faustino e Giovita, che erano rimasti nella città, nascondendosi nella locale comunità cristiana, mentre Calocero, non si sa bene per quale ragione, si trasferì ad Albenga, dove continuò la sua opera missionaria. Fu lì che venne scoperto dalla polizia imperiale che stavolta pensò bene di decapitarlo senza affidarsi a cavalli o altri animali per evitare altre sorprese. L'esecuzione avvenne presso l'antica foce del Centa, in località Campore nell'anno 121. Era il 18 aprile.
Il ricordo di Calocero divenne presto culto locale restando limitato alle diocesi di Brescia, Milano, Asti, Ivrea e Tortona.

A Milano è probabilmente sopravvissuta fino ai giorni nostri la memoria del (mancato) martirio di San Calocero nella toponomastica viaria del centro storico della città: non lontano da Porta Ticinese infatti si trova Via San Calocero, il cui nome derivava dalla presenza fino al 1951 della chiesa di San Calocero, chiesa dipendente dalla vicina chiesa di San Vincenzo in Prato, edificata probabilmente sopra i resti di un tempio pagano[3].

Presso Albenga, in prossimità dell'imbocco della galleria dell'attuale SS Aurelia in direzione di Alassio, si possono ancora osservare i ruderi della prima basilica cristiana di Albenga, eretta attorno ai secoli IV e V e dedicata a San Calocero. L'area archeologica relativa al sito pluristratificato di San Calocero comprende i resti di una chiesa tardo-antica con successive fasi altomedievale e medievale di un monastero di Benedettine e Clarisse, sorto presso il luogo del martirio del Santo e abbandonato alla fine del XVI secolo. Esso avrebbe custodito le spoglie mortali del Santo evangelizzatore della zona, finché queste non vennero traslate nella chiesa della città. La presunta Tomba di San Calocero è conservata ad Albenga nel Museo Civico Ingauno, mentre nel Museo Diocesano è esposto il busto reliquario di San Calogero (fine XV secolo) e nella Cattedrale di San Michele è conservata l'urna con le reliquie del Santo (fine XVII secolo).

Secondo un'altra tradizione, verso la metà del IX secolo le reliquie del martire furono trasferite nell'Abbazia di San Pietro al Monte, a Civate. La tomba attuale è custodita nella chiesa, dedicata appunto al Santo, edificata all'interno delle mura del paese; ma pare che originariamente le spoglie fossero state traslate nella chiesa di San Pietro al Monte, eretta in una zona verosimilmente sacra fin dai tempi dei Celti, come sembra dimostrare la Leggenda di San Pietro al Monte di Civate, in cui parte rilevante ha la presenza di una fonte d'acqua dai poteri miracolosi. Dall'altro versante del Monte di Civate, poi, sorge un altro paese, Caslino d'Erba, la cui principale attrazione è data dalla chiesa romanica della Madonna di San Calocero, in un'area sacra ove venne rinvenuta un'interessante lapide romana in cui, seppur con qualche dubbio e difficoltà, sembra potersi leggere il voto che un fedele fa "alle Linfe e alle Acque", sembrando darci la conferma così del fatto che l'area in questione fosse in origine un vero e proprio monte sacro, sede terrena degli spiriti delle acque.