Gottlob
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Custos, quid de nocte?

MAGISTERO INFALLIBILE E MAGISTERO FALLIBILE DELLA CHIESA.
LA MIA RISPOSTA A RADIO SPADA.
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INDICE 1. Premessa. 2. Il mio pensiero sul magistero della Chiesa. 3. Il pensiero del mio Con-futatore come esposto da ‘Radio Spada’. 4. Magistero infallibile (o ‘Depositum fidei’). L’e-sempio della mosca. 5. Magistero fallibile (o ‘autentico’, o ‘pastorale’). Il caso delle ‘verità connesse’ al Depositum fidei. 6. Il dogma, essendo la forma delle ‘verità connesse’, è anche la forma delle leggi liturgiche, della Liturgia. 7. Come una ‘conclusione teologica di fatti do-gmatici’ possa passare da ‘verità connessa’ a infallibile dogma. 8. Esempio di quel magi-stero fallibile (o ‘autentico’, o ‘pastorale’) che alcuni pensatori e teologi cattolici ritengono ef-fettivamente fallato. 9. Sui concetti di ‘magistero autentico’ e di ‘magistero pastorale’. 10. La strategia di chi vuole dare la comunione a conviventi e divorziati e il magistero ‘pastorale’. 11. Obbedienza o disobbedienza. Religioso ossequio o invece religiosa resistenza. 12. C’è un dogma che stabilisce che Gesù Cristo, oltre che Redentore degli uomini, è anche loro Legislatore. Eccolo. 13. CONCLUSIONE: LE DUE VIE INDICATE DALLA CHIE-SA PER STARE ALLA REALTÀ VANNO SEGUITE ENTRAMBE. CIASCUNA NEL SUO PRECISO AMBITO, SENZA CONFONDERLE. 14. Una proposta per por fine alla “Grande Guerra delle Forme” che imperversa da cinquant’anni nella Chiesa.
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1. PREMESSA.
18-1-15. Mi è segnalato uno scritto sul web, titolo: Non solo falli-bilisti. Una risposta a Enrico Maria Radaelli: « Nell’ambito degli attuali dibattiti sull’infallibilità pontificia – questo l’incipit –, pubbli-chiamo una confutazione del recente articolo di Enrico Maria Ra-daelli [v., qui a destra, l’articolo Non solo sedevacantisti] pubblica-to su chiesaepostconcilio.blogspot.com. Questo breve saggio è pub-blicato a cura del nostro redattore Pietro Ferrari ».
Ora, se mi accingo a scrivere questa precisazione al mio pensiero sulle norme che regolano il magistero della Chiesa, in risposta a ciò che vorrebbe essere una confutazione alla mia opinione sul tema, ri-portata da Radio Spada (e con ciò spero di rispondere anche alle perplessità sollevate da alcuni lettori di Chiesaepostconcilio e di al-tri), non è tanto per portare le dovute correzioni a quanto sostenuto nella confutazione che mi si fa, ma per acclarare nella più larga mi-sura oggi resasi necessaria la via che la stessa Chiesa offre, nelle sue sagge disposizioni normative, se rettamente interpretate, per disinca-gliarsi dalle paludi dottrinali de-dogmatizzanti in cui alcuni Pastori, a mio modesto avviso, l’hanno spinta da ormai dieci lustri, via che poi non è altro che la stessa percorsa cinquant’anni fa, ma che ora essa, e al più presto, dovrebbe ripercorrere tutta a ritroso, cioè “ridogma-tizzandosi”.
Ho detto “se rettamente interpretate”. Rettamente come? Sempli-ce: secondo la regola suggerita da san Vincenzo di Lérins, recepita dal concilio dogmatico Vaticano I, Cost. dogm. Dei Filius: « [Nos credimus solum] quod semper, quod ubique, quod ab omnibus cre-ditum est » “[Noi crediamo solo a] ciò che sempre, in ogni luogo e da tutti è stato creduto”. Il proposito di ogni cristiano (e, come si ve-drà, dello stesso magistero della Chiesa) è di tenere ogni articolazio-ne della fede sempre aderente in tutto al dogma: proprio come una fotocopia è in tutto fedele – identica – all’originale.
La mia risposta, di studioso di filosofia dell’estetica, che a partire dai Corsi di Filosofia della conoscenza del professor mons. Antonio Livi alla Lateranense ha avuto modo di studiare da vicino il secondo Nome (o qualità sostanziale) dell’Unigenito di Dio in san Tommaso: Imago, o Immagine, o Species, o Volto (il primo, come si sa, è Lo-gos, e i rimanenti due sono Lux, Luce, o Splendor, Splendore, e Fi-lius, Figlio), e che da tale altissima scaturigine estetica ha potuto ap-plicare le risultanze germinatene per ricostruire il fondativo legame tra dogma e vita, ecco: la mia risposta, dicevo, vuole essere, per gli studi visti sui rapporti tra forma e contenuto, imago e logos, proprio in tale spirito di totalizzante fedeltà.
È infatti questo l’aspetto del dibattito teologico su cui sono imper-niate, oggi, le sorti della Chiesa: il magistero fallibile e l’infallibile, i suoi diversi e precisi obblighi, le sue diverse e precise norme, e le conseguenze che derivano da eventuali non adeguate adempienze da parte sia dei Pastori che dei fedeli, ognuno per la sua parte, di tali di-versi e precisi obblighi e norme. Tutto il resto – le sorti della Chiesa – ne dipende: ne dipende la capacità della Chiesa di essere se stessa, quella di fare missione, quella di avere la necessaria forza di pene-trazione dell’amoroso dogma nel mondo. E quella infine di saper manifestare l’adeguata sua adorazione al Padre, cosa che, come dice Amerio, di tutte, è quella che più conta.
È questo che intendo con “sorti della Chiesa”. È questo che gra-va sulla chiarezza da farsi sulle tenebre di una troppo a lungo insisti-ta equivocità di magistero sul tema della fallibilità della sua forma pastorale, a cui forse è tempo di dire: basta. L’equivocità è il con-trario dell’identità. L’equivocità non permette alla copia nemmeno di confrontarsi, con l’originale! Figuriamoci poi aderirvi. Il percorso che si farà sarà tessuto tutto sulla trama “estetica” che nasce dal No-me Imago come quella logica dal Nome Logos, ricavandone esiti al-trettanto logici, ma forse, si crede, ancor più evidenti.
D’altra parte, sarà proprio a causa di tale via “estetica” che potre-mo giungere a capire meglio che cercando qualsiasi altro varco qua-le conflitto ci è di fronte: se, come si vedrà, potremo giungere a par-lare di “Guerra delle Forme”, o “delle due Forme”, lo si dovrà (oltre ovviamente al concetto di ‘forma’ di san Tommaso) solo a Imago, la qualità delle cose logiche dipendenti dal Logos di potersi confrontare tra loro fin nei minimi particolari. E come si confrontano? Perché si somigliano (o non si somigliano). E come mai si somigliano (o non si somigliano)? Perché anche le parole, “le cose logiche”, i lògoi, hanno un volto, un’immagine appunto, come tutti i segni dell’uni-verso, fossero pure i più astratti.
2. IL MIO PENSIERO SUL MAGISTERO DELLA CHIESA.
Per ricapitolare brevemente le cose, io sostengo che, essendo il ma-gistero della Chiesa distinto in due grandi livelli (o gradi, o condizio-ni) di certezza veritativa: l’infallibile e il fallibile, esso è costituito da due egualmente grandi livelli (gradi, condizioni) di obbedienza al magistero egualmente ben distinti tra loro, discontinui, non comuni-cabili, non riversabili uno nell’altro, cui corrispondono due gradi di pena egualmente ben distinti: al grado infallibile corrisponde un’ob-bedienza de fide – quella che si diceva un’“obbedienza cieca e asso-luta” –, come la comanda la Cost. dogm. Dei Filius, Cap. 3, can. 1 (Denz 3008; CIC, can. 212): « plenum rivelanti Deo, intellectus et voluntatis obsequium fide præstare tenemur » (“quando Dio si rive-la, noi siamo tenuti a prestargli con la fede la piena sommissione del-la nostra intelligenza e volontà”); al grado fallibile, invece, corri-sponde « non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà (“non quidem fidei assensus, religio-sum tamen intellectus et voluntatis obsequium”) » (CIC, can. 752; v. pure Cost. dogm. Lumen Gentium, Denz 4149).
In quanto alla pena, sappiamo che chi non obbedisce a un inse-gnamento infallibile, cioè a un dogma di fede, cade in un delitto di eresia, che è a dire in peccato mortale, ed è punito con la scomunica; non c’è invece un articolo del Catechismo della Chiesa Cattolica che commini una pena precisa a chi non porge il dovuto religioso os-sequio di intelletto e volontà a un qualche insegnamento mere au-tentico, cioè non dogmatico, né infallibile: al n. 2036 è segnalato un generico « dovere di osservare le costituzioni e i decreti emanati dalla legittima autorità della Chiesa. Anche se sono disciplinari, tali deliberazioni richiedono la docilità nella carità », perché la cosa va analizzata nel largo spettro della casuistica, cioè dei casi di coscien-za, a meno che il soggetto abbia in cuore, col rifiuto di quel religioso ossequio che si diceva su un sicuro giudizio del magistero, di volersi separare con ciò dalla comunione col Pontefice romano e con coloro che sono in comunione con lui, giacché in tal caso la sua ritrosia al dovuto ossequio nascerebbe piuttosto da una volontà scismatica, che – essa sì – è un peccato mortale. Ma questo non è il nostro caso, v. il mio La Chiesa ribaltata, Gondolin, Verona 2014, pp. 293-300, con Prefazione di Antonio Livi, dove professo la mia più intima e in-vincibile adesione a Papa Bergoglio come Vicario di Cristo e regola prossima della mia fede, intima e invincibile adesione che riposa sulla garantita e certissima continuità di forma e contenuto di tale santissima ‘regola prossima’ con la remota (Sacra Scrittura e Tradi-zione). E se si dovesse dubitare di tale continuità? Risponderò anche a questo, pur se la risposta più esauriente la si troverà solo in Il domani del dogma e appunto ancora in La Chiesa ribaltata.

Per saperne di più.