Domando per sapere o per cercare scappatoie?
Le relazioni interpersonali sono alla base del nostro vivere sociale e comunitario e il comunicare con l’altro è un requisito fondamentale di ogni nostro interagire con altre persone. Il neonato comunica col pianto la sua fame, il suo dolore o malessere. L’anziano agonizzante spesso riesce a comunicarci i suoi ultimi sentimenti con una lieve invisibile lacrima o con una quasi inavvertibile stretta di mano. Certamente è necessaria intelligenza e sensibilità per ascoltare e capire ciò che l’altro vuole dirci. Spesso nella vita comunichiamo facendo uso della parola e facendo ricorso, in modo più o meno diretto, a delle domande. Con una semplice parolina, ad esempio con un avverbio interrogativo (Chi?, Quando? Come? Dove? Perché? Quanto? ecc.), siamo in grado di sollecitare dal nostro interlocutore una precisa risposta o informazione.Ma perché poniamo delle domande? Certamente il motivo principale è per sapere qualche cosa che non ci è noto, che non conosciamo. Ma non sempre è questo il motivo all’origine delle nostre domande. Ne abbiamo qualche esempio nei Vangeli. Le domande di Nostro Signore Gesù Cristo, siano esse rivolte a discepoli, a scribi e farisei o ad altri, non hanno evidentemente lo scopo di “chiedere per sapere”. Gesù nella sua divinità conosce già i cuori dei suoi interlocutori, tuttavia con delle domande egli vuole evidenziare degli atteggiamenti, siano essi esemplari o riprovevoli, coi quali comunicarci delle verità. Altre volte le sue domande possono essere uno stimolo a guardare dentro di noi e a prendere coscienza dello stato reale della nostra anima. Ma qui non vogliamo dilungarci, anche perché è impresa folle quella di pretendere di capire fin nei dettagli l’agire e il modo di agire di Nostro Signore. Sicuramente quello che fa ha lo scopo di aiutarci nella conversione e quindi portarci alla salvezza eterna.
Ma nei Vangeli vi sono anche altri tipi di domande e tra queste emblematiche sono le domande che scribi e farisei rivolgono a Gesù. Qual è il motivo che porta queste persone a porre delle domande? Dai loro atteggiamenti è evidente che loro non si vogliono mettere nella posizione subalterna di colui che deve elemosinare informazioni o conoscenze a un’autorità superiore. No, con queste domande, spesso fatte in pubblico, essi vogliono mettere alla prova Gesù. Nelle sue risposte essi cercano contraddizioni e pretesti per accusarlo (si veda l’episodio dell’adultera in cui, secondo loro, il principio evangelico della misericordia verso i peccatori sarebbe in contraddizione con la legge mosaica – Gv 7,53-8,11) o per metterlo in cattiva luce dinanzi al popolo e davanti alle autorità (“È lecito pagare le tasse a Cesare?”).
Ma vi sono poi anche altri tipi di domande, come quella del giovane benestante (Mc 10,17-27) che chiede cosa fare a Gesù per meglio seguirlo. Certamente la domanda è sincera, ma la sua reazione alla risposta di Gesù, evidenzia il fatto che conosciuta la risposta, ci si trova a dover comportarsi di conseguenza. Nella parabola citata, il giovane, rattristatosi per le parole di Gesù, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.
Si potrebbero analizzare molte altre situazioni, ma è più utile riflettere su un altro aspetto. Quali sono i motivi per cui facciamo delle domande a Dio, alla Chiesa o a suoi ministri? Noi chiediamo per sapere, per conoscere gli insegnamenti di Gesù, per convertirci, per ottenere la Grazia santificante con la quale avvicinarci maggiormente all’Onnipotente, o noi facciamo delle domande per capire se possiamo trovare una scappatoia a degli insegnamenti che comunque in fin dei conti ben conosciamo? Non è che noi chiediamo per vedere se ci sono delle strade meno strette e più agevoli per salire il nostro Calvario? O peggio ancora, non è che noi vogliamo indagare sulla possibilità concreta di accedere al Paradiso senza nemmeno dover salire il Calvario?
In fin dei conti noi spesso sappiamo bene cosa ci dice la dottrina cattolica. E sappiamo ancora meglio che convertire la nostra vita indirizzandola in una direzione contraria a quella attuale ci costa assai. Anzi, spesso come bambini viziati desideriamo, vogliamo, esigiamo, che sia la dottrina cristiana a convertirsi ai nostri valori. Con un simile atteggiamento, ogni domanda che noi facciamo è inutile. Noi già sappiamo cosa vogliamo. Purtroppo la risposta che Dio, la Chiesa o i loro degni ministri (e non tutti sono sempre degni…) ci danno da duemila anni, non sono come noi vorremmo. Allora, spesso, le loro risposte diventano un pretesto per trovare contraddizioni nel loro insegnamento (contrapponendo ad esempio la misericordia alla giustizia divina) o per screditare tramite i mezzi di comunicazione la posizione della Chiesa, oramai non più al passo coi tempi. O, peggio ancora, si propongono ermeneutiche ed interpretazioni con il solo scopo di ottenere ciò che a noi fa comodo.
In fin dei conti, nulla di nuovo sotto il sole. Non solo il giovane della parabola se ne andò, anche gli apostoli dimostrarono scetticismo (“Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” - Gv 6,60-69), tanto che Gesù chiese loro: “Volete andarvene anche voi?” . Rimasero e, a parte Giuda, tutti diedero la vita per Cristo. Che Dio illumini e dia coraggio ai loro successori affinché non vengano meno al loro compito di rispondere in verità e carità alle nostre, magari ambigue, domande!