Missionari nell'Amazzonia: nessuno battezzato dopo 53 anni!

Foto: Don Corrado Dalmolego

L’Istituto Missionari della Consolata, originario di Torino e presente in 28 paesi, possiede dal 1965 una missione fra gli Yanomami attualmente diretta dal sacerdote italiano Corrado Dalmolego, assistito da tre religiose del ramo femminile della stessa congregazione.

Gli Yanomami sono un gruppo etnico composto da 20-30 mila indigeni che vivono nella selva tropicale in maniera molto primitiva, concentrati nel sud del Venezuela e, in Brasile, negli stati dell’Amazonas e Roraima – dove si trova la missione Catrimani dei missionari della Consolata, presso il fiume dello stesso nome.

I loro vestiti sono molto sommari e li usano solo come ornamento nei polsi, nelle caviglie e attorno al bacino. Gli uomini della tribù hanno abitualmente diverse donne, comprese adolescenti appena entrate nella pubertà. Gli uomini sono soliti consumare la pianta “epená” o virola, che contiene una sostanza allucinogena, utilizzata anche in rituali di guarigione da parte degli sciamani allo scopo di identificare le malattie attraverso la comunicazione con gli spiriti.

Il problema più grande della comunità Yanomami sono soprattutto le malattie di tipo infettivo e parassitarie come la malaria, causa principale della loro morte. Oltre alla malaria, sono comuni anche l’epatite, la diarrea, la tubercolosi e le malattie dell’apparato respiratorio come pneumonie e bronchiti, di cui soffrono varie volte all’anno. La quasi inesistente abitudine della pulizia e della cura dei denti (non utilizzano lo spazzolino), fa sì che le carie siano un problema cronico.

Una delle “tradizioni” più radicate fra gli Yanomami è l’infanticidio praticato dalla stessa madre, la quale si allontana per partorire e sceglie di accogliere o uccidere il neonato seppellendolo vivo. L’infanticidio è praticato per eliminare quanti nascono con malformazioni oppure come una forma di selezione (preferiscono i maschi alle femmine e che il primo figlio sia maschio; se nascono gemelli, ne lasciano in vita soltanto uno e se i due sono maschi uccidono il più debole), o più semplicemente ancora, per non voler accudire due figli simultaneamente (in media li allattano per tre anni).

In una recente intervista al portale Religión Digital, il missionario della Consolata ha fornito interessanti dettagli sulla sua concezione della missione e sulle sue attività missionarie, con la speranza che il suo esempio serva da modello per il prossimo Sinodo Panamazzonico. Le sue stupefacenti dichiarazioni sono state raccolte e avallate da un altro missionario, il sacerdote madrileno Luis Miguel Modino, attivo nella Diocesi di São Gabriel da Cachoeira, nello stato dell’Amazonas (Brasile).

Foto: Don Luis Miguel Modino

Eppure, per il missionario Corrado Dalmonego, che vive a Catrimani da 11 anni e che dunque li conosce bene, essi possono “con l’esperienza della propria religiosità, della propria spiritualità, aiutare la stessa Chiesa a purificarsi da schemi, strutture mentali che forse sono divenute obsolete e inadeguate”.

In primo luogo, gli Yanomami aiutano la Chiesa a “difendere questo mondo” e a “costruire una ecologia integrale” nello “stabilire ponti tra le conoscenze tradizionali e le conoscenze moderne, ecologiche, della società occidentale”.

In secondo luogo, l’aiutano a migliorare le sue strutture e l’esercizio dell’autorità, perché la Chiesa dovrebbe “prestare attenzione a come i popoli indigeni vivono l’esperienza comunitaria, le relazioni sociali, l’organizzazione della leadership”. “Gli Yanomami sono dei testimoni che ci fanno apprezzare il valore della vita comunitaria”, afferma il missionario.

E infine, “nelle ricerche che si realizzano sulla stregoneria, sulle mitologie, sui diversi saperi, sulle visioni del mondo, sulle visioni di Dio”, la Chiesa si arricchisce, poiché i momenti forti di dialogo aiutano i missionari “a scoprire l’essenza della nostra fede, molte volte nascosta da orpelli, da tradizioni culturali”.

Una di queste forme di arricchimento spirituale è il fatto che gli Yanomami “tendono a mettere insieme le cose”, ovvero invocano il Dio dei bianchi senza rinunziare alle proprie credenze. “Non è necessario rinunciare, semplicemente si tratta di appropriarsi di qualcosa di più. Perché non fare questo esercizio anche nella Chiesa, queste esperienze?” si domanda il religioso della Consolata. “Ciò, da una parte, può essere accusato di sincretismo, relativismo” concede. Tuttavia conclude affermando che, ad ogni modo, “noi non siamo i proprietari della verità”.

Da questa concezione dell’azione evangelizzatrice della Chiesa come mero esercizio di dialogo interreligioso, ne risulta che padre Corrado Dalmonego si vanta di un fatto stupefacente a cui fa riferimento il suo intervistatore e che per qualsiasi missionario tradizionale sarebbe il calice più amaro: egli dirige “una missione di presenza e di dialogo” in cui dopo cinquanta tre anni nessuno è stato battezzato!

La cosa più grave è che padre Dalmonego sostiene che “tutti quelli che lui conosce e che hanno lavorato lì, dedicando la vita a quella missione, hanno apprezzato questo modo di attuare, che egli non ridurrebbe a una testimonianza silenziosa, perché quando si dialoga, si parla, si annunzia”. Tuttavia, insiste nell’allontanare qualsiasi idea di “proselitismo” e nel “non confondere ciò che è l’annuncio con quanto riteniamo essere conversione”.

Ed è precisamente in questo senso che la Missione Catrimani potrebbe servire come riferimento in vista del Sinodo Panamazzonico, perché “si tratta di una presenza profetica per la Chiesa, che si è messa all’ascolto dei popoli, una presenza che pur tuttavia è criticata e malintesa, accusata di omissione”.

Apparentemente, l’importante non consiste nel sapere cosa possa dire Gesù Cristo nel vedere incompiuto il suo mandato di andare e di evangelizzare tutti i popoli “battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, bensì, ciò “che incoraggia, che dà animo” è “ascoltare David Kopenawa – yanomami, leader indigeno di questo popolo – secondo il quale la Missione Catrimani ha ben agito, senza danneggiare gli Yanomami, senza distruggere la loro cultura, senza condannare la stregoneria” e dunque “questo è il messaggio che voi [i missionari] dovete portare dal Dio che vi ha inviato”.

Da qui, per il missionario italiano, l’importanza del prossimo Sinodo, “in cui in tutta la Chiesa, e forse anche fuori dalla Chiesa, gli occhi saranno rivolti sull’Amazzonia”, perché “se ci fossero più esperienze come queste la Chiesa si arricchirebbe fortemente”.

I religiosi della Consolata della Missione Catrimani possono dormire con la coscienza in pace: Papa Francesco non li richiamerà per il fatto di non aver battezzato nessun yanomami in 53 anni. Forse sono essi stessi che dovrebbero farsi iniziare come sciamani imparando i rituali degli yanomami e seguendo i corsi di David Kopenawa…


Fonti: Pan-Amazon Synod Watch

Religión Digital