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gioiafelice
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Giornata internazionale contro la corruzione - 9 dicembre. Infatti, il 3 novembre del 1946, Sturzo, appena rientrato dall’esilio, pubblica sul giornale «L’Italia» un’intervista dal titolo: Moralizziamo …Altro
Giornata internazionale contro la corruzione - 9 dicembre.

Infatti, il 3 novembre del 1946, Sturzo, appena rientrato dall’esilio, pubblica sul giornale «L’Italia» un’intervista dal titolo: Moralizziamo la vita pubblica. Egli, richiamando gli scandali americani più famosi, come quello della città di Chicago o di Tammany Hall di NewYork, afferma che il male di una vita pubblica moralmente inquinata non è cosa nuova nella storia del mondo. Alla base di tale infezione resta il triste agire dell’egoismo umano. C’è però il rischio, a dire del sociologo siciliano, che il maggior accentramento di potere in poche mani e una larga distribuzione di danaro nelle molteplici amministrazioni pubbliche (Stato, enti statali e parastatali, enti locali e oggi potremmo aggiungere le società di capitali a partecipazione pubblica, le società miste, le strutture centralistiche con poteri speciali, le piccole Iri comunali) possa finire per aggravare la tentazione di agire immoralmente, illegalmente, di arricchirsi mediante la corruzione.
Ecco che per don Sturzo è necessario il controllo delle pubbliche amministrazioni, in modo tecnico e giuridico, o attraverso la supervisione del parlamento; una condizione non sufficiente, però, per contrastare gli abusi del potere pubblico. Occorre unire un’efficace vigilanza dell’opinione pubblica e una pressione popolare per la moralità amministrativa e politica che possa scongiurare le tentazioni delle corruzioni.

L’esperienza americana di Sturzo ne esalta il grado elevato di elaborazione concettuale soprattutto quanto al temuto pericolo che il popolo venga controllato nella formazione della sua libera opinione e reso insensibile al dilagare dell’immoralità nell’amministrazione dello Stato. Egli, ad appena tre mesi dal suo rientro in Italia, anticipa le strategie di coloro che hanno il controllo dell’opinione pubblica realizzata anche per mezzo dei partiti, delle cooperative, dei sindacati, degli enti assistenziali e che «partecipano alla corruzione dei rappresentanti politici, o si preparano a parteciparvi con l’alternarsi dei partiti» [PQA II, p. 332]; ma il sacerdote calatino denuncia anche la capacità dei governi che possiedono tutto il potere e tutti i mezzi di opinione pubblica di rendere il popolo indifferente rispetto al ripetersi e dilagare dell’immoralità nell’amministrazione dello Stato.
Tre anni dopo, il 5 novembre del 1949, sul giornale «La Via» don Sturzo pubblica un nuovo articolo, nuovamente dal titolo “Moralizziamo la vita pubblica” dove fa il punto sulla situazione italiana e sul dilagare di incarichi in aziende pubbliche per uomini di governo, politici e funzionari pubblici. Emerge in modo chiaro la piaga di ciò che oggi chiamiamo il conflitto di interessi; cioè la necessità di distinguere la posizione di chi deve controllare cosa fanno enti, aziende e società, finanziate con danaro pubblico, rispetto a chi li amministra. Lo statista calatino attacca il sistema dei «controllati controllori» [cfr.PQA II, pp. 306 e ss.], in cui evidenzia il rischio di accordi illeciti e immorali agevolati da questi doppi incarichi, giungendone a chiedere un espresso divieto di legge. Sturzo dà esempio di questo conflitto di interessi ripercorrendo uno scambio di battute con un ignoto imprenditore del tempo: «Giorni fa il capo di un’azienda dove lo stato ha una certa partecipazione azionaria, mi diceva che era un bene che nel consiglio di amministrazione ci fosse un deputato, per difendere presso i ministeri competenti e presso la camera gli interessi dell’azienda. Mi fu spontanea la risposta che egli non aveva contato l’utilità di averci anche dei funzionari dello stato per combinare i provvedimenti vantaggiosi per l’ente con la tecnica (in uso) del minore chiasso e il più efficiente risultato» [PQAII, p. 334]. In questo quadro, il fondatore del Partito Popolare Italiano rivendica la necessità che ogni soggetto che riceve, in qualsiasi forma, danari pubblici sia obbligato a fornire al parlamento i propri bilanci, i conti reali e trasparenti da poter esaminare e discutere, perché si possa rompere ciò che egli chiama il sistema di combutta tra il funzionario e il politicante a favore delle aziende e a danno dello Stato.

Don Sturzo si rivolge anche alla Democrazia Cristiana chiedendole di contrastare la logica dell’uomo indispensabile su cui concentrare una molteplicità di incarichi, impossibile da adempiere tutti con diligenza, nonché di introdurre un divieto senza eccezione per i suoi uomini di partito di assumere cariche amministrative negli enti e società che abbiano finanziamenti, contributi, agevolazioni o altre forme di elargizione di danaro pubblico, che possano far sorgere il pericolo del conflitto di interessi, secondo il sistema da lui denunciato dei controllati controllori.
Tutti questi ragionamenti sturziani per difendere la moralità pubblica, per rompere i legami di interessi in conflitto e i sistemi di corruttela, sfoceranno nell’attacco al centro di potere costituito dal democristiano Enrico Mattei, creatore dell’Eni, che, a dire di Sturzo, avrebbe usato il denaro pubblico dell’ente di Stato per finanziare una corrente della Dc e per manipolare l’opinione pubblica attraverso giornali e riviste. Dichiarazioni che fecero scalpore e che ancora oggi sono oggetto di amara riflessione. Ricorda Massimo Teodori che Mattei era solito affermare che si serviva dei partiti come dei taxi; che all’interno della Dc finanziava una sua corrente politica denominata la Base; che avrebbe distribuito contributi a tutto l’arco politico e giornalistico, dall’estrema destra del «Candido» e «Lo Specchio» all’estrema sinistra del Psiup. È assai rilevante l’accusa mossa da questi controMattei che «attraverso la corruzione riuscì a condurre fino al 1962 una sua politica estera e a pesare sulla scena italiana fuori da ogni controllo democratico, invertendo la dipendenza pubblica tra baroni pubblici e rappresentanti politici» [Teodori (1999), p. 95].
Su queste basi logiche e di esperienza politica e amministrativa, il senatore a vita Luigi Sturzo presenta al senato della Repubblica, il 16 settembre del 1958, un disegno di legge circa le Disposizioni riguardanti i partiti politici e i candidati alle elezioni politiche e amministrative [cfr. SG, pp. 364 e ss], con il quale mira a obbligare i partiti a depositare in tribunale lo statuto e i nominativi dei dirigenti responsabili, individuare dei requisiti minimi di personalità giuridica, strutturare degli obblighi di rendicontazione finanziaria, vietare alcune forme di finanziamenti da soggetti pubblici, introdurre la pubblicità degli elenchi dei contribuenti, imporre la intestazione al partito dei beni immobili e la nominatività dei titoli posseduti, introdurre dei limiti alle spese elettorali, un rendiconto da parte dei candidati, anche se non eletti, dei contributi ricevuti e delle spese sopportate, infine una serie di sanzioni penali per la violazione degli obblighi imposti. Nella relazione al disegno di legge don Sturzo contesta al sistema nazionale dei partiti democratici tutti i rischi derivanti dai finanziamenti illeciti, alcuni dei quali provenienti da potenze estere, il sistema di scambi di favori tra candidati e finanziatori, le logiche di arricchimento legate alla corruzione: «Il problema è più largo di quel che non sia la spesa elettorale; noi abbiamo oramai una struttura partitica le cui spese aumentano di anno in anno in maniera tale da superare ogni immaginazione.

Tali somme possono venire da fonti impure; non sono mai libere e spontanee offerte di soci e di simpatizzanti. […] Che i finanziamenti siano dati da stranieri, da industriali italiani, ovvero, ancora peggio, da enti pubblici, senza iscrizione specifica nei registri di entrata e uscita, o derivino da percentuali in affari ben combinati (e non sempre puliti), è il segreto che ne rende sospetta la fonte, anche se non siano state violate le leggi morali e neppure quelle che regolano l’amministrazione pubblica. Il dubbio sui finanziamenti dei partiti si riverbera su quelli dei candidati; e con molta maggiore evidenza se si tratta di persone notoriamente di modesta fortuna, professionisti di provincia, giovani che ancora debbono trovare una sistemazione familiare conveniente, impiegati a meno di centomila lire mensili, e così di seguito. Alla fine delle elezioni abbiamo sentito notizie sbalorditive, che fanno variare da dieci a duecento milioni le spese di campagna di singoli candidati. […] C’è chi accusa l’apparato dei partiti, il quale, discriminando i candidati della stessa lista, ne determina l’accaparramento di voti a favore degli uni con danno degli altri. Non mancano indizî circa il patrocinio politico che enti statali e privati si assicurano in parlamento favorendo l’elezione di chi possa sostenere e difendere i propri interessi, impegnando a tale scopo somme non lievi nella battaglia delle preferenze. Quando entrate e spese sono circondate dal segreto della loro provenienza e della loro destinazione, la corruzione diviene impunita;manca la sanzione morale della pubblica opinione; manca quella legale del magistrato; si diffonde nel paese il senso di sfiducia nel sistema parlamentare» [SG, pp. 364-365].
Lo scontro del senatore Sturzo contro questo sistema di potere illegittimolo porterà, nel 1959, all’ultima sua battaglia, quella contro le «male bestie», cioè contro lo statalismo, la partitocrazia e l’abuso del denaro pubblico. Proprio quel sistema di moltiplicazione di centri di potere che usano dello Stato e dei poteri pubblici per compiere atti illegittimi, favori, sperperi, abusi, illeciti e corruttele. Le parole di don Sturzo saranno giudicate quelle di una cassandra, benché per ulteriori trent’anni si continuerà a parlare di questione morale nella politica, senza approfondire il problema e trovarne una soluzione efficace. Sarà la repressione giudiziaria degli anni ’90, nota come “tangentopoli”, a far emergere un sistema di corruzione di politici e funzionari pubblici, di concussione degli imprenditori, di finanziamento illecito della …