Breve ed efficace spiegazione dei 7 vizi capitali: LA GOLA, il vizio che nessuno pensa... che sia vizio!
l’ammazzar di buoi, e lo scannar di pecore,
saziarsi di vivande e ubriacarsi di vino:
“Mangiamo e beviamo, che domani si muore”.
Ma il Signore degli eserciti
ha rivelato alle mie orecchie
che questo peccato non vi sarà rimesso
fino alla vostra morte” (Is 22,13-14)
Mangiare e bere sono una necessità per la vita del corpo e la sua salute; un dovere tanto che commette peccato di suicidio chi di proposito non si nutre; un piacere avendo il Creatore unito ad essi un allettamento che aiutasse a conservare le forze; una bellezza quando servono a rinsaldare un buon legame o a celebrare un avvenimento o a dimostrare una gioia; un bene quando sono contenuti nella retta misura, cioè in quella che sta non al di sotto del limite minimo voluto dall’igiene e non al di sopra del limite massimo dannoso all’organismo.
Tuttavia il mangiare e bere diventano vizio (detto di gola dal nome del senso che si soddisfa alimentandosi) quando sono ricercati solo per il piacere da essi dato, desiderati e usati oltre il giusto limite. È un vizio ben frequente nella nostra epoca per l’aumentato numero di agi, di tempo libero, di cibi e di lusso insistentemente illustrati dagli strumenti della comunicazione sociale, nonostante che due terzi dell’umanità siano oggi denutriti o malnutriti, si muoia di fame e di sete in molte regioni dell’ Africa e dell’ Asia, non ci sia in certi paesi neanche la carta da masticare. È un vizio così sottile che può averlo anche un povero, consistendo esso non solo nell’abusare del piacere insito nei cibi e nelle bevande, ma anche nel desiderare eccessivamente questo piacere.
È un vizio che anche tra i buoni pochi si riconoscono e pochissimi se ne accusano, tanto che s. Agostino ha potuto dire: “Tu, o mio Dio, mi hai insegnato a prendere gli alimenti come rimedi. Signore, chi di noi non ne oltrepassa talvolta il limite? Se ce n’è uno, io dico che costui è grande e deve glorificare grandemente il tuo nome” (Conf. X, 31). E il limite è oltrepassato quando si prova più piacere nel mangIare e nel bere che in cose più nobili, quando non si parla d’altro che di tavole imbandite.
Pecca per la quantità chi mangia e beve più del necessario o del conveniente per la salute, come se avesse un tubo digerente più lungo degli altri e non avesse più sostentamento per l’avvenire, e si alza dalla mensa appesantito, incapace di camminare svelto, bisognoso di riposo, esposto a vomitare.
Peccano per la qualità coloro che cercano insistentemente bevande e cibi troppo squisiti o troppo rari o comunque superiori alle possibilità della propria condizione sociale; oppure accettano i cibi comuni purché cucinati e conditi con esagerata ricercatezza di ingredienti, mirando così non solo a nutrirsi ma anche e soprattutto ad accontentare il gusto con il massimo possibile della raffinatezza.
Pecca per il modo chi mangia e beve con voracità come i cani, i quali non mangiano ma divorano, non bevono ma tracannano; oppure prende i graditissimi cibi da solo, in silenzio, con raccoglimento, lentamente, per gustadi più profondamente e il più a lungo possibile.
Peccano per il tempo quelli che mangiano e bevono non solo nelle ore fissate per i pasti, ma anche ad ogni occasione possibile; e non per appetito, ma per golosità o fittizio bisogno provocato dal disordine; oppure rimangono a tavola troppo a lungo mostrandosi attaccati al cucchiaio e al bicchiere.
Pecca per il fine chi si ciba come se non avesse al mondo altra preoccupazione oltre quella di riempirsi il ventre, cioè chi ha per primo, anzi unico scopo l’appagamento del gusto, non mangiando per vivere ma vivendo per mangiare, pronto a morire se dovesse rinunciare a mangiare e bere, più pronto a morire se dopo la morte potesse mangiare e bere meglio, indifferente al vivere senza l’uso della ragione purché satollo e ubriaco.
Ed ecco come agisce chi la pensa così: cammina storto, ora balbetta ora canta, stravolge gli occhi, parla ai muri e ai quadri come se fossero persone, vomita, respira irregolarmente, fa rumore con le narici, scambia una cosa per l’altra, talvolta ride talvolta piange, non connette più le idee, protesta se qualcuno gli toglie il piatto o la bottiglia, si sveste più che può, chiede e richiede vivande, inveisce contro i presenti perché non lo capiscono, prova a leggere ma non ce la fa, sente rumore nelle orecchie, fissa la terra come se questa si muovesse; bestemmia, dice e fa cose sconce, trascura i doveri della propria professione, rivela segreti che non devono essere svelati, attacca brighe con piccoli e con grandi. con vicini e con lontani, si accascia a terra, impreca contro gli altri che invece di sollevarlo lo deridono, è incapace di alzarsi da solo, non vuole essere toccato da nessuno mentre lui vuol toccare tutto e tutti, viene derubato e non se ne accorge…
Quanti peccati in queste escandescenze! Ad esempio, lo spreco, l’ubriachezza, la bestemmia, la scurrilità, il turpiloquio, lo scandalo, la negligenza dei doveri del proprio stato, l’impudicizia, la discordia, la trasgressione delle leggi ecclesiastiche sul digiuno e sull’astinenza. Non esagera chi chiama la gola “la portinaia del diavolo”.
C’è malizia nel vizio della gola, più di quanto si creda a prima vista, perché tende a fare del ventre il proprio dio, ossia considera come fine il piacere messo dal Creatore nell’atto della nutrizione, escludendo quindi, recisamente, il bisogno di nutrirsi per vivere (1). Inoltre questo vizio va contro il precetto della penitenza al quale tutti sono tenuti per legge divina, essendo essa non un di più o una stravaganza, ma una necessità come il respirare. Mortificare la gola non è l’unico modo di far penitenza e nemmeno il più costoso, ma è certamente uno dei più necessari per l’importanza che ha nel combattere le tendenze cattive, uno dei più raccomandati dai consiglieri spirituali e uno dei più sentiti dai peccatori che vogliono espiare.
Grave il vizio della gola perché intimo di ognuno di noi, personale e quasi continuo per il fatto di trovarsi troppo presto nel bisogno di ristorare con nuovi cibi e nuove bevande il corpo debilitato. Lo si può mortificare, ma non uccidere; vincerlo, ma non estirparlo. E quante rovine provoca!
Mina la salute. Il primo organo a soffrire è lo stomaco, perché il troppo mangiare e bere non lo aiuta ad elaborare la digestione, ma lo dilata e irrita trasformandolo in un focolaio di umori nocivi. E poi il fegato si ingrossa, le vene si gonfiano, i reni si infiammano, il sangue si guasta, l’intestino si irrigidisce, il corpo si fa pesante e inetto al lavoro. Ed ecco stanchezze, nausee, vomiti, insonnie, dolori, paralisi e pure la morte. Non c’è nulla che più accorcia la vita e la aggravi quanto l’eccesso degli alimenti. Anche gli organismi più robusti cedono in poco tempo a questa intemperanza (2). Ne uccide più la gola che la spada, più l’intemperanza che la fame. Soprattutto all’alcool si devono gli inebetiti, i maniaci, gli allucinati, gli epilettici. “Tolta dal mondo ogni specie di intemperanza, verrebbero eliminate quasi tutte le malattie, e forse tutte” (De Maistre).
Questo vizio ottunde la mente. Insegna san Tommaso; “La stupidità della mente proviene massimamente dalla gola. A misura infatti che si riempie il ventre, l’intelligenza perde la sua chiarezza ed elasticità perché i grossi vapori del cibo e della bevanda salgono dallo stomaco ad offuscare il capo ed ingombrare il cervello, che è strumento dell’intelligenza e della ragione. Di conseguenza i crapuloni diventano d’ordinario stupidi, privi di memoria, incapaci di fare cose di importanza, impotenti persino a manifestare i loro sentimenti prima ancora di giungere alla vecchiaia”.
E la Bibbia ammonisce così l’ingordo: “I tuoi occhi vedranno cose strane e la tua bocca farà discorsi stravaganti: ti parrà di essere coricato in alto mare e di dormire in cima all’albero di una nave” (Prov 23,24).
Questo vizio provoca la lussuria. I vizi si richiamano e si incatenano a vicenda. Quando il ventre è carico di cibo, il fomite della concupiscenza diventa più prepotente, la fantasia si popola di fantasmi, il cuore straripa nell’esuberanza, i sensi cercano lo sfogo e, poichè l’intelligenza non ragiona e la volontà non frena, è inevitabile la caduta. Nulla trascina tanto alla lussuria quanto la golosità. Sarebbe davvero un prodigio se lussuria e golosità andassero separate, esse che sono i vizi più grossolani.
Soprattutto il troppo bere alcool scatena le bramosie sessuali, danneggia il patrimonio genetico nei discendenti, distrugge l’innocenza. San Girolamo diceva: “Non riuscirò a credere che una persona dedita al bere sia casta”. Tanto male dall’alcool che non è necessario come il cibo!
I vizio della gola allontana da Dio. Stare con Dio significa avere pensieri alti e nobili ed esprimerli con la preghiera e con le opere buone, ma il goloso ha soltanto pensieri bassi rivolti alla materia e alla sue soddisfazioni. Si allontana così da Dio e si avvicina alle bestie. Non sente il gusto delle cose spirituali, non ha voglia di pregare, non ha tempo di applicarsi alle opere di Religione, non ha interesse per la morale, non si preoccupa dell’eternità, non capisce gli eroismi di digiuno praticati dai Santi. Per lui il dio è l’appetito, l’altare è la mensa, il credo è l’abbondanza e il paradiso è la comodità.
Questo vizio impoverisce. Basti il giudizio della Sacra Scrittura: “Chi ama i lauti conviti, finirà in miseria; né sarà ricco chi ama vino e profumi” (Prov 21,17)…” Non andare con i bevitori e nemmeno con i crapuloni, perché il bevitore e il crapulone impoveriscono”. (Prov 23,30)… ”Non impoverirti con il prendere a prestito per fare conviti se non hai nulla nella borsa” (Sir 18,33).
E la storia racconta di madri che hanno venduto vesti e cibi dei loro figli per comprarsi liquori.
Il vizio della gola degrada inducendo a gesti addirittura bestiali personaggi pur rispettabili per altri versi (3).
Questi danni non si fermano alla persona del goloso e nemmeno alla cerchia di quanti gli stanno vicini o dipendono da lui, ma si estendono con minore o maggiore intensità a tutta la società. E sono essi stessi castighi che confermano nello spazio e nel tempo il monito di Gesù: “Guai a voi che ora siete sazi, perché poi soffrirete la fame”.
Quanto necessaria allora è la virtù della sobrietà che non solo evita il peggio ma assicura il meglio nell’uso dei cibi e delle bevande. Essa non comanda di mangiare e bere meno del bisogno, ma stabilisce i limiti del giusto o del conveniente da non valicare quando si mangia e si beve.
La quantità deve tener conto dell’organismo, dell’età, della stagione, del genere di lavoro, del rango sociale, del censo e di altre eventuali circostanze; essa non è la stessa per tutti e non sempre la stessa per la medesima persona, ma in ogni caso dev’essere moderata e ordinata a soddisfare il bisogno. La qualità non deve pretendere specialità oltre quello che è conveniente e adatto alle proprie condizioni particolari. Il tempo deve suggerire un orario che giovi nello stesso tempo alla salute e allo spirito religioso. Il modo deve evitare come la fretta così l’esagerata lentezza in modo da mangiare e bere con gusto, ma non per il gusto. Il fine deve essere quello di conservare e irrobustire le proprie forze per metterle al servizio di Dio nell’adempimento dei doveri del proprio stato.
La sobrietà non esclude il godimento del piacere annesso ai cibi dal buon Dio che ha tratto per l’uomo una così grande varietà di nutrimento dal regno vegetale e dal regno animale, purché questo piacere sia contenuto nei giusti confini segnati dalla ragione e confermati dalla Fede.
La sobrietà fa bene al corpo e all’anima: al corpo, in quanto rinvigorisce i sensi, rende tranquillo il sonno, fa trovare accettabili i cibi, facilita il lavoro, snellisce i movimenti, prolunga la vita; all’anima, in quanto impedisce i peccati, frena la concupiscenza, suggerisce la penitenza, ispira la preghiera prima e dopo i pasti, fa osservare le leggi della Chiesa sul digiuno e sull’astinenza, aiuta a sopportare la mancanza del necessario qualora questa si presenti.
La sobrietà ripete le parole di san Paolo: “I cibi sono per il ventre e il ventre è per i cibi; tuttavia Dio farà cessare l’uso dei primi e del secondo. Ma il corpo non è per la fornicazione, bensì per il Signore, e il Signore è per il corpo” (1 Cor 6,13).
___________________
1) Il Duca di Clarence, fratello cadetto di Edoardo IV re d’Inghilterra, condannato a morte per i suoi complotti, ottenne come unica grazia la libertà di scegliersi il genere di morte. Essendo amatore incorreggibile di vini squisiti, chiese e ottenne di essere annegato in una botte di malvasia.
2) Il robustissimo Alessandro Magno morì giovane per le crapule; Settimio Severo morì ubriaco dopo un lungo pranzo; Skakespeare morì per aver bevuto troppo vino con gli amici, in una bettola; il poeta greco Filosseno moriva per indigestione di pesce e, pur moribondo, chiese insistentemente al medico di mangiare la parte avanzata del pesce.
3) Victor Hugo diceva di sé stesso: “La storia naturale conosce tre stomachi formidabili: il pescecane, lo struzzo e Victor Hugo”. Uno dei suoi esercizi era questo: si metteva in bocca un’arancia intera con la scorza, aggiungeva una decina di pezzi di zucchero e masticava il tutto in pochi minuti, poi spalancava la bocca per mostrare ai presenti che veramente aveva trangugiato tutto!