Francesco I
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Fra Nazareno. Da artigliere e colono in Etiopia al processo di beatificazione

Un sistema istituzionale ha sempre bisogno di solide basi culturali per restare saldamente radicato nel popolo che dovrebbe rappresentare ed amministrare, e nei momenti di maggiore crisi dello stato, questo si accentua sempre.

Le basi culturali non sono mai qualcosa da prendere alla leggera, specie se appunto servono a mantenere il controllo di un popolo numeroso in una posizione geopolitica più unica che rara. Non c’è niente nel mondo che abbia l’importanza strategica dell’Italia, e per garantire una serie di interessi si è disposti a tutto, compreso mistificare il passato nazionale.

Fortunatamente le bugie hanno sempre le gambe corte, e mai come nei tempi che viviamo, è stato così facile reperire informazioni incrociando i dati che troviamo; dati che puntualmente smentiscono la narrativa ufficiale sulla storia coloniale italiana. Il popolo italiano viene volutamente dipinto come un popolo “predatorio”, quasi come se dal tardo Ottocento ci si fosse dedicati a svaligiare ipotetici caveau di ipotetiche banche, derubando le popolazioni locali del loro lavoro o delle loro ipotetiche risorse naturali. Niente di tutto questo questo successe nelle colonie, ma anzi fu vero l’esatto contrario. A questa fantasiosa narrativa che sembrerebbe accostare il popolo italiano più ai nordici vichinghi o ai corsari del nord Africa invece che al più maestoso impero romano, si affianca una serie di falsi miti legati all’univoca vocazione di soldati e coloni verso schiavismo, stupri, razzie ecc. ed è profondamente ridicola come teoria, poiché la stragrande maggioranza del patrimonio artistico è sempre stato in Italia. La riserva aurea italiana, solamente in quantità irrisorie parrebbe venire dall’Africa e nemmeno MAI l’Italia ebbe un commercio di schiavi essendo un entità nazionale nata a schiavismo superato. I coloni vengono descritti come barbari col sangue agli occhi, pronti a sterminare e schiavizzare chiunque incontrino, ma veramente fu così?
In questo articolo parleremo in particolare di uno di loro, Giovanni Zucca, originario di Pula, un paese della costa sud della Sardegna a pochi km da Cagliari. Nato a Pula il 21 gennaio 1911 da papà Giuseppe e mamma Faustina, sesto di nove figli, riuscirà a frequentare soltanto le elementari per poi seguire il padre a lavorare in campagna ed allevare bestiame. Di infanzia ed adolescenza non si sa molto, perché dall’età di 12 anni le sue giornate iniziavano alle due del mattino, e solo la domenica si metteva in ordine per frequentare la vita del paese e le sue amicizie.

Inizia nel 1936 all’età di 25 anni la sua avventura africana, nell’appena proclamato Impero, precisamente in Etiopia, a gestire un attività di ristoro che gli garantiva una buona posizione sociale. Nel 1940 allo scoppio della guerra, esattamente come tutti gli uomini abili al combattimento (sia coloni che indigeni), viene arruolato nel Regio Esercito col grado di sergente nei reparti di artiglieria. Nelle colonie, per tutti quegli anni affrontò con la sua unità l’esercito britannico, e venne fatto prigioniero e deportato in Kenya, nei tristemente famosi campi di prigionia britannici, dove si moriva di stenti, fame e malattie. Sino al 1946, rimase li, a condividere la sorte coi suoi commilitoni. Durante i lunghi e difficili anni di prigionia, Giovanni Zucca sperimenta le umiliazioni, il cinismo, la ferocia e le condizioni tipiche di tutti i nostri soldati, maturando una profonda spiritualità ed accreditandosi anche la stima e la buona considerazione degli inglesi. Terminate guerra e prigionia, Giovanni rientra in Sardegna dove andrà incontro ad un lungo periodo di riabilitazione a causa delle difficili condizioni di vita nei campi britannici, e dopo trova lavoro come fattorino e rientra nel suo paese natale, dove riprende i rapporti coi suoi amici ed inizia anche una frequentazione con una ragazza con cui voleva metter su famiglia.

Col tempo la sua vocazione religiosa maturò assieme alla volontà di consacrarsi, ma la svolta avvenne nell’autunno del 1950, quando decise di andare ad incontrare Padre Pio da Pietrelcina a San Giovanni Rotondo, per avere consigli da lui e confidare il proprio desiderio di offrire la propria vita a Dio. Quando riuscì a parlare con Padre Pio questo gli disse “guagliò, sei arrivato finalmente! Da tanto tempo ti aspettavo!”, ma lo trattò in modo burbero dicendogli “vai via!”. Il nostro ex giovane colono e sergente d’artiglieria fu molto colpito dalle parole e dall’atteggiamento, ma non si scoraggiò. Dopo aver passato la notte in pianto si ripresentò dal Santo il giorno dopo, bisognoso di una risposta alle sue aspirazioni, e stavolta venne accolto da lui come fosse un vecchio amico. Giovanni gli parlò sinceramente dicendogli “voglio stare qui con lei, e farmi frate”.
Dopo averlo confessato ed incoraggiato Padre Pio gli disse: “il tuo posto è tra i figli di San Francesco ma non qui, in Sardegna; vai tranquillo, io non ti lascerò mai solo!”.
Quegli incontri (inutile dirlo) segneranno la sua vita, e tornato in Sardegna prese i voti, e diventò un figlio spirituale del Santo di Pietrelcina. Dal 1951 coi voti triennali, e nel 1955 con quelli perpetui, per tutta la sua vita Giovanni Zucca divenne un frate cappuccino, e per tutti i sardi “Fra Nazareno”. Dal convento di Sanluri, in cui si dedicherà all’orto ed alla cucina, deliziando i suoi confratelli con l’esperienza nella ristorazione maturata in Africa, verrà trasferito per 2 anni a Sassari, poi ad Iglesias, e dovunque andasse tutti quelli che lo incontravano notavano il suo carisma ed iniziava a venir circondato da fedeli che lo andavano a trovare per tutto il giorno, e poi anche come questuante, allor quando non doveva trattenersi anche nelle case.
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La gente iniziava a ricevere delle grazie dalle sue preghiere, e nel 1958 con la morte di Fra Nicola da Gesturi (Beato), Nazareno viene chiamato a Cagliari proprio a sostituire lui in convento. Nel capoluogo sardo trascorse molto tempo come questuante, ma nel 1977 venne trasferito a Sorso, nel sassarese, al fine di arginare le folle che andavano a trovarlo nel convento di Cagliari, ma le comitive che lo raggiungevano in pullman assieme alle persone che in treno ed in macchina si spostavano per continuare a vederlo, convinse i suoi superiori a lasciargli fare lunghi periodi tra Cagliari e Pula. Trasferitosi definitivamente nel 1986 ad “Is Molas” (frazione di Pula), ed erigendo anche un santuario alla Madonna della Consolazione, trascorse il resto della sua vita ad incontrare i pellegrini che andavano a trovarlo.
Il 29 febbraio del 1992 Fra Nazareno morì, e la città di Cagliari venne letteralmente bloccata dal suo funerale poiché diverse decine di migliaia di persone vi parteciparono. Una delle cose che caratterizzava quest’uomo erano le famose “caramelle” che lui regalava a chi lo andava a trovare. Molte grazie furono concesse ed anche miracoli, come la guarigione dal tumore di Giuseppina Setzu, che aprì la causa di beatificazione nel 2002.

Chi avrebbe il coraggio di ergersi come “paladino di verità e diritti” contro una figura così autorevole?
Si può quindi aver partecipato alla colonizzazione italiana in Africa (che altro non era che migrare per lavorare e vivere in loco), ed aver anche combattuto gli inglesi nel Regio Esercito ma poter ugualmente essere persone straordinarie?

La vita del sergente d’artiglieria e colono italiano Giovanni Zucca, poi Fra Nazareno racconta che si può.
Concludo questo articolo con il mio personale ricordo di questo frate straordinario, al quale spesso da bambino facevo visita al santuario di Is Molas assieme alla mia famiglia, e ricordo ancora il gusto delle caramelle “Rossana”, e quelle alla frutta (arancia e limone) che quest’uomo mi regalava in cambio delle preghiere. Senza la sua esperienza africana probabilmente non sarebbe stato possibile raccontare questa storia.
di Gianluca Cocco

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