Francesco I
1851

Pregare in latino per raddrizzare lo spirito – di Léon Bertoletti

«Quando pregate, dite così…» premette il Maestro all’insegnamento del Pater. «Quando pregate, pregate in latino» è l’appello, il consiglio, l’invito che vorrei lanciare da queste pagine. Continuate a pregare in latino, se già lo praticate. Cominciate a pregare in latino, imparate a pregare in latino, se ancora non lo fate. Lasciate definitivamente perdere (soprattutto se vi hanno turbato gli ultimi, più recenti snaturamenti e svilimenti del «ne nos inducas in tentationem» e del «pax hominibus bonae voluntatis») versioni, traduzioni, tradimenti, travisamenti, traviamenti, parafrasi, perifrasi, aggiornamenti e annacquamenti lessicali. In latino è tutto più incisivo, più esplicito, più vero; tanto che pregando latinamente si fa opera di ortopedia intellettuale oltre che spirituale. Perfino Renzo Tramaglino, quello del latinorum, nelle ultime pagine dei Promessi Sposi deve ammettere: «Non è quel latino lì che mi fa paura: quello è un latino sincero, sacrosanto, come quello della Messa». Perché il latino parla chiaro, dice pane al pane, chiama le cose con il loro nome. Mantiene sane distanze da quelle formule italiane che lasciano intendere, fanno sottindere, girano attorno al concetto e alla realtà e dove è potenza di linguaggio sostituiscono metafore, vaghe allusioni. Sia esempio primo il Te Deum. Recita: «Non horruisti Virginis uterum». Questo Cristo, Figlio sempiterno del Padre, questo difensore dell’umanità che per liberarla non ha in orrore né in timore l’utero della Vergine, in italiano è reso: «Tu nascesti dalla Vergine Madre». È un’infedeltà, un’adulterazione, un maldestro colpo di spugna alla fisicità, alla sessualità, alla ginecologia, alla poesia del parto.

Così anche nell’Ave Maria, nella Salve Regina. Il «benedictus fructus ventris tui», il «fructum ventris tui» diventano «frutto del tuo seno». Ma non è la mammella del latte materno a rilevare quanto maggiormente il luogo materiale, corporeo, reale della nascita: ventre, pancione, grembo. C’è poi un’immagine straordinaria, fortissima, nel Cantico di Zaccaria, il Benedictus. Il Dio d’Israele che ha visitato e compiuto la redenzione della sua plebe, nella casa di suo figlio Davide «erexit cornu salutis nobis». Questo corno innalzato per noi come segnale di salute, salvezza, conservazione, benessere, redenzione è atto, opera, gesto, simbolo. Lo si vede, lo si immagina, lo si percepisce concreto a differenza della traduzione: «Ha suscitato per noi una salvezza potente». Sono semplici dimostrazioni di quanto, pregando in parole italiane, si finisce per smarrire.

Le rime, anche. Come nell’Angelo di Dio. «Angele Dei, qui custos es mei, me, tibi commissum pietate superna, illumina, custodi, rege et guberna». Il Dei che si connette con il mei, la pietà superna che guberna sono, nell’orazione, gemme preziose. Ci fanno concludere che recuperare la preghiera in latino vale un po’ di studio e tutto l’eventuale, piccolo sforzo necessario.]]>

Pregare in latino per raddrizzare lo spirito – di Léon Bertoletti – Ricognizioni

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