Fatima.
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LA SETTIMANA SANTA CON GESU’

Brani tratti dal libro “IN QUELLA CASA C’ERO ANCH’IO”
di Ferdinando Rancan

VENERDI’ SANTO: LA VIA DOLOROSA

“ECCE HOMO”
Ormai s’era fatto giorno. Giuseppe d’Arimatea aveva già lasciato la nostra casa, Nicodemo invece preferì trattenersi ancora qualche tempo con Maria. Uomo sensibile e di nobili sentimenti qual era, si rendeva conto dell’impatto drammatico che una madre squisita e delicata come Maria avrebbe dovuto sopportare per un figlio come Gesù, visto nelle condizioni in cui egli l’aveva visto, e trattato come venne trattato in quella notte. Solo più tardi e volendo seguire da vicino gli avvenimenti si congedò da Maria, prese il mantello e si avviò all’uscita. L’apostolo Giovanni, quando Nicodemo gli passò accanto, si alzò di scatto e si unì a lui con l’evidente intenzione di seguirlo. Nicodemo si voltò verso Maria con sguardo interrogativo, come per chiederle il consenso, e lei con cenni del capo fece intendere che era d’accordo.
Anche Myriam e Salome presero lo scialle e si avviarono all’uscita per seguire i due discepoli. A quella vista Maddalena, senza prendere né scialle né altro, si precipitò verso la porta per unirsi alle donne. Ma Maria la fermò e guardandola dolcemente: “Maddalena, - disse - noi andremo più tardi; ti ho già detto che verrai con me, e staremo insieme vicino a Lui”. Mi resi conto più tardi che Maria volle risparmiare a Maddalena le drammatiche e dolorose scene di Gesù deriso, insultato e maltrattato davanti al popolo, ai capi dei Giudei e ai pagani.
Passarono così le prime ore del giorno. Verso l’ora terza - le nove del mattino - udimmo ancora i soliti colpi alla porta: era Giuseppe di Arimatea. Entrò, alterato in volto per l’indignazio-ne, scosse la testa e allargò le braccia con uno sbuffo lungo e sofferto che esprimeva rabbia e insofferenza. “Mascalzoni! - cominciò a gridare - Mascalzoni e furfanti, ecco cosa sono! Hanno arruolato la marmaglia più stupida e venale per far pressione su di lui. Che cosa si credeva quel Ponzio Pilato, rappresentante del diritto e della giustizia romana, che cosa si credeva? Di ragionare di giustizia e di diritto con coloro che conoscono solo l’avidità più sfrenata e l’odio più cieco? Di giocare d’astuzia con coloro che vivono di menzogna e sono maestri di falsità e di inganno? Povero illuso! Nemmeno il ricorso alla sua autorità, lui, il rappresentante della grande Roma e del suo Imperium, è valso a qualcosa. Che peso poteva avere l’autorità di un provinciale davanti a coloro che sono i più sottili e abili maestri del ricatto e della dialettica più tortuosa? Non bastano il disprezzo e il sarcasmo per far rispettare la legalità a chi si è fatto legge e giudice a sé stesso!”.

Giuseppe, che era entrato senza salutare nessuno, camminava su e giù per la casa, in preda all’indignazione e alla collera; sembrava che parlasse da solo, con sé stesso. Noi lo guardavamo in silenzio, cercando di capire.
“E i suoi espedienti, così crudeli e ridicoli… - ripeté dopo una pausa - belli espedienti! Prima lo invia a quella volpe e bellimbusto di Erode. Che ne sa di giustizia e soprattutto di onestà quell’animale? Bene ha fatto Gesù a non rivolgergli nemmeno uno sguardo! Non sapeva Pilato - in fondo lui è un soldataccio romano che non conosce per niente l’animo e i sentimenti dei nostri capi - non sapeva che questo espediente avrebbe irritato ancora di più il Sommo Sacerdote che si vedeva esautorato e scavalcato da un vile vassallo di Roma? E la reazione di quel miserabile vassallo s’è vista: lo ha rimandato al mittente vestito di bianco, come si vestono i pazzi! Mi sono recato anche da Cusa, intendente di Erode, per parlare con sua moglie Giovanna e vedere se potevamo fare insieme qualcosa. Ero pronto a pagare qualsiasi prezzo per riscattarlo dalle loro mani! Ma lei era corsa dall’amica Susanna, disperata per quanto stava succedendo. Sembra proprio che nessuno riesca a fermare questi eventi!”.
Fece una pausa come per riordinare i propri sentimenti. Poi, ancora più concitato, riprese: “Ed ecco poi l’altro espediente, peggiore del primo: ha voluto barattare Gesù con Barabba! Capite? Con Barabba! Un bandito che con le sue razzie e le sue violenze ha seminato terrore per le contrade della Giudea. E lui, il Maestro, che sulle contrade della Giudea e della Galilea e dappertutto ha seminato pace e amore beneficando e sanando tutti, lui: al patibolo! ‘Crocifiggilo! - hanno gridato - crocifiggilo!’. E la canaglia, che urlava sempre più forte, aveva aumentato le sue file. Non solo le guardie del Tempio, i servi e la plebaglia dei loro palazzi, ma perfino i Leviti hanno arruolato. E loro, lì, in prima fila: Anziani, Sacerdoti, Scribi e, davanti a tutti, Caifa. Tutti nella pompa dei loro paludamenti, con sfoggio dei loro Efod, delle loro catene d’oro, dei loro mantelli purpurei e copricapo solenni, di tutto ciò che poteva impressionare quello zoticone di Pilato. Zoticone e crudele: ‘Gli darò un castigo - urlò - e poi lo rilascerò’. Un castigo? Ma se tu stesso lo hai dichiarato innocente, per quale colpa mai lo castighi? Per commuovere quei signori? Bell’espediente! Puoi forse spremere lagrime dai sassi, o distillare profumi dai letamai? E d’altronde puoi pensare di commuovere le pietre, tu che non conosci la pietà? Un castigo! E chiami castigo la flagellazione? Il supplizio più spietato che la tua legge bandisce come incompatibile per un cittadino romano, e tu lo usi con il più mite, saggio, degno Maestro che sia apparso sulla terra?”.

Si fermò un istante come per prendere fiato, mentre noi, impietriti, seguivamo in silenzio il suo racconto. Poi riprese: “Pensando a tutto questo, mi precipitai all’entrata del cortile del Pretorio deciso a varcare quella maledetta soglia, incurante delle leggi rabbiniche. Se Gesù era entrato nella casa di un pagano, potevo entrarci anch’io! Volevo impedire quella crudeltà, ma i soldati incrociarono le lance e mi bloccarono. Perché dunque non si riesce, nessuno riesce a fermare questi eventi?”.
Così dicendo Giuseppe si accasciò su uno sgabello, prese la testa fra le mani e: “Qui! - cominciò con una voce simile a un gemito - qui! Mi risuonano ancora qui, nella testa!... Prima le risate e gli scherni dei soldati; poi i colpi tremendi, implacabili, durissimi, interminabili: uno, due, tre, … dieci … trenta … cinquanta, ottanta…, non finivano mai! Non finivano, non finivano! E io lì, impotente, davanti a quelle guardie impassibili, e dall’altro lato le urla scomposte e volgari della plebaglia. Quei colpi! Quei colpi! Rimbombano ancora, qui, nella mia testa. E da Gesù soltanto alcuni gemiti; gemiti che andarono affievolendosi fino a scomparire. Solo allora si udì la voce del centurione che intimò l’arresto di quella carneficina”.
A queste parole Giuseppe si fermò, e si chiuse in un impressionante silenzio. In tutta la casa non c’era uno che si muoveva; quel racconto un po’ parlato, un po’ urlato, un po’ soffocato nei gemiti, aveva raggelato il nostro animo; eravamo incapaci di qualunque reazione. Non riuscivamo a fare domande, a chiedere i particolari dei fatti, come se avessimo paura di saperne di più.

Passò così qualche tempo, poi Giuseppe cercò di riprendersi: alzò la testa, girò lo sguardo intorno come se cercasse in noi un consiglio, un aiuto, o almeno un po’ di conforto e di partecipazione: la sua faccia era una maschera di tristezza, di dolore e di rabbia. Infine, con toni più pacati, riprese: “Ciò che seguì a quello strazio crudele è indegno anche per il più brutale degli aguzzini. Passò del tempo che mi è sembrato un’eternità. Girai al largo dalla folla in cerca di Nicodemo; improvvisamente un silenzio, e poi un urlo che mi gelò il sangue nelle vene. Pilato era uscito fuori dal Pretorio e con un gesto della mano rivolto alla folla, fece avanzare Gesù gridando: ‘Ecco l’uomo!’. Infatti Gesù non c’era più, non era più lui. Quel rudere barcollante, che a mala pena si reggeva in piedi, era un cencio a brandelli. Una maschera di sangue e di dolore che i soldati hanno voluto arredare con le insegne della regalità! Quel casco di spine a mo’ di corona ficcato nella testa, quello straccio scarlatto sulle spalle scarnificate dai colpi, quella canna fessa infilata tra le mani legate ai polsi con una catena… tutto per incorniciare un volto tumefatto e livido, un povero corpo maciullato e straziato! Ma che altro voleva quel rude soldato, rappresentante di Roma, che altro si aspettava da una folla insana, prezzolata e servile, che lo sovrastava con le sue urla e le sue risate? Con un re da burla credeva di appagare l’odio insaziabile dei nostri capi!”.
“Non sapevo che fare. Aggirai la ciurma e mi portai a ridosso dei sacerdoti, combattuto se avvicinarmi a Gesù o fuggire. Mi fermai a guardarlo: di Gesù non restava più niente, se non la sua dignità maestosa e… i suoi occhi! Quello sguardo mi segue ancora. Erano occhi luminosi. Brillavano. Non per la febbre, non per le lacrime. Guardavano la folla senza rancore, senza desiderio di vendetta, senza atteggiamento di giudizio; guardavano come tante volte hanno guardato i malati, i lebbrosi, i poveri, i disgraziati. C’era in quello sguardo forza e severità, ma anche tanta tristezza, tanto dolore, tanta dolcezza! Erano occhi rivolti alla folla, ma guardavano uno a uno quei poveri sciagurati, entravano in ciascuno di loro come un raggio di luce in lotta con le tenebre più fitte.”
“Alla fine non ce l’ho fatta. Non potevo più sopportare quello scempio, quella sporca e umiliante faccenda, ma soprattutto non potevo più sopportare la mia impotenza, la mia impossibilità di fare qualcosa, di fermare l’ondata di malvagità e di odio che si consumava sotto i miei occhi.”
“E ora, davvero non possiamo fare più nulla; è finita!”

“IL SERVO DI JAHVÈ
Una dopo l’altra le parole di Giuseppe arrivavano al nostro animo come lame roventi che penetravano nel cuore e insieme come colpi di ariete che demolivano impietosamente ogni nostro ideale, ogni nostra prospettiva futura. Fu come se quei soldati avessero messo a ferro e a fuoco tutte le nostre speranze. Eppure era troppo presto per convincerci che tutto era finito. In quel momento il pensiero che Gesù era nelle mani dei suoi avversari, in balia di spietati aguzzini, impediva alla nostra mente ogni altro ragionamento. Eravamo troppo feriti nei nostri sentimenti e nel nostro affetto per pensare al dopo.
Un amore ferito e oltraggiato non può pensare ad altro che alla persona amata. E così Maddalena, non potendo più trattenere il dolore lancinante che s’era accumulato nel suo cuore, si lanciò verso Maria e aggrappandosi al collo di lei, cominciò a gridare fra i singhiozzi: “No!… No!… No!…”. Non riusciva a dire altro; era il grido di chi non poteva accettare una realtà inaccettabile, di chi dentro al suo animo respingeva con tutte le sue forze il pensiero che fosse vero ciò che era stato narrato da Giuseppe; era il gemito inconsolabile di un’anima innamorata di fronte alla soppressione ingiusta e crudele della persona amata.
Maria la teneva stretta a sé teneramente e le passava dolcemente la mano sulla testa finché si placarono i singulti e ruppe silenzioso il torrente delle lacrime. Allora Maria, con una voce che pareva venisse da lontano, o dal profondo, segnata comunque dalla tristezza e dal dolore, cominciò:

“Oracolo del Signore!
Ecco il mio Servo:
è cresciuto come un virgulto
come una radice in terra arida.
Non ha apparenza, né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per potercene compiacere.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà la salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l’iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare.
E non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca……

Mentre parlava, Maria teneva chiuse le palpebre come se quel testo del profeta Isaia scorresse dentro di lei e lo leggesse scritto nel suo cuore. La sua voce si faceva ora tremante, ora serena e pacata, e ogni tanto si fermava per qualche istante di pausa. Quei versetti scorrevano nel silenzio come fuoco liquido, ma insieme arrivavano al nostro cuore come olio salutare e balsamico.
Eravamo tutti raccolti nella sala grande della casa: i familiari di Marco, gli Apostoli, Giuseppe di Arimatea, alcuni discepoli e noi. Nessuno si era accorto della propria stanchezza né della propria fatica; solo Marco s’era addormentato, rannicchiato su un divano. Anche le lacrime della Maddalena si erano fermate. Maria allora la sollevò adagio, le asciugò il volto, e: “Va’, - disse - prendi i nostri scialli e un vasetto di sali o di essenze; è venuto il momento di andare”.
Alcuni si alzarono, altri guardarono Maria per capire che cosa fare. Ma ella intervenne raccomandando a tutti di non muoversi e di ricordarsi invece del salmo di David, il salmo n. 2 del salterio, perché solo la parola che Dio ci ha rivolto per mezzo dei Profeti può aiutarci a capire e ad accettare gli avvenimenti che non comprendiamo. A Maria di Marco raccomandò di rincuorare tutti con qualcosa da mettere nello stomaco. Poi aiutò Maddalena a mettersi in ordine e uscirono.

“LA VIA DOLOROSA”
Nel frattempo io avevo preso il mio mantello ed ero uscito con Giuseppe di Arimatea aspettando Maria fuori di casa. Il sole era ormai alto e aveva riscaldato l’aria. Prendemmo la strada che sale lungo il Tyropeon e porta alla Torre Antonia dove s’era insediato in quei giorni il Procuratore Romano. )…) Arrivati al punto in cui la strada che scende dalla Torre Antonia gira verso le mura e sale alla Porta di Efraim, ci fu impossibile proseguire. Giuseppe cercava di filtrare per aprirsi un passaggio quando uno squillo di tromba annunciò l’avvicinarsi del corteo militare. Allora la folla si diradò e molti procedettero oltre. Ci fu possibile così occupare l’angolo dove la strada gira e sale verso le mura. Lì ci fermammo perché già era apparso il centurione a cavallo, seguito da altri soldati che tenevano al largo la folla. Il cuore ci batteva forte per l’ansia e per l’attesa di ciò che si sarebbe presentato ai nostri occhi. (…)

Di mezzo alla ciurma spuntava un palo che avanzava lentamente, ondeggiando, con moti bruschi e incerti; improvvisamente disparve accompagnato da sarcastiche risate. Capii che si trattava di Gesù che portava sulle spalle il patibulum, il palo della croce, e che era caduto forse inciampando nel selciato. Con calci e spintoni lo fecero alzare caricandolo nuovamente del palo, mentre una guardia lo aiutava a reggersi tenendolo per una cintura legata ai fianchi. Era ormai a pochi metri da noi, e quando ce lo trovammo davanti ci rendemmo conto delle atrocità che erano state commesse su di lui: la testa coronata di spine, i lunghi capelli impiastricciati di sangue e di fango, il volto livido e tumefatto coperto di grumi, di sudore freddo, di sputi e di polvere, le labbra screpolate e riarse, le orecchie e il collo rigato da lividi; vestiva la sola tunica, quella inconsutile, dalla quale sulle spalle, sul petto e sulle braccia trasparivano le chiazze di umore sanguigno. La veste e il mantello li portava un soldato.
Dio mio, in quali condizioni l’avevano ridotto! Mi coprii istintivamente la faccia, mentre la Maddalena con un urlo si gettò verso Gesù gridando: “Maestro mio! Maestro mio!”. Un soldato la fermò afferrandola per le braccia. Gesù a quel grido riconobbe la voce e si voltò verso di noi, ma barcollando sotto il peso del patibolo, stramazzò per terra. Gli sgherri stavano per colpirlo e malmenarlo quando Giuseppe d’Arimatea con un balzo si avvicinò a loro gridando: “Lasciatelo!”. Si fermarono lì intorno, e si fece silenzio. Allora guardandoli con piglio fiero e autoritario, aggiunse: “Sollevatelo!”. Ed essi lo sollevarono.

Quando Gesù fu in piedi, Giuseppe gli indicò sua Madre. Maria si avvicinò a Gesù, e Gesù, vedendola, ebbe come un ritorno di energia e di forza, si rizzò dritto sul tronco e spalancò gli occhi che prima apparivano velati e stanchi. I due sguardi si incontrarono, come tante volte, in un silenzio che si apriva sull’abisso del cuore. Quelli che stavano intorno, quando videro Maria, zittirono tutti e nessuno ebbe il coraggio di muoversi. Allora Maria, con una voce infinitamente appassionata e infinitamente tenera: “Figlio mio!, - esclamò - come ti hanno ridotto!”, e due lacrimoni immensi le rigarono il volto. “Madre - fu la risposta - il mio dolore è anche tuo, ma anche il tuo dolore è mio! È la nostra ‘ora’!”. Poi, con un sorriso impregnato d’amore e di dolore, soggiunse: “Grazie d’essere venuta. Raccogli intorno a te i miei discepoli”. Il centurione, accortosi che il corteo si era fermato, diede una voce ai soldati perché si riprendesse il cammino dopo aver caricato di nuovo il palo sulle spalle di Gesù. (…)

Avevamo percorso una ventina di metri quando da una casa che aveva l’aspetto di un’abitazione signorile, uscì una donna dal portamento distinto ed elegantemente vestita. Era accompagnata da un gruppo di donne in abiti da lutto che emettevano lamenti e lagrime. Con una mossa imprevista, la donna filtrò tra i soldati e le guardie fermandosi davanti a Gesù; estrasse dal suo ampio mantello un bianco lino, prezioso, lo depose delicatamente, con tenerezza quasi materna, sul volto del Signore aspettando che si imbevesse come se volesse detergere quel viso martoriato, poi lo tolse adagio e si ritirò. Il gesto della donna colse di sorpresa Gesù e le guardie. Queste non accennarono ad alcuna reazione, anche perché quella donna mostrava dignità e fermezza; Gesù invece si voltò verso le piangenti e disse: “Donne di Gerusalemme, non piangete su di me, ma su voi stesse e sui vostri figli; ecco, verranno giorni nei quali si dirà: beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?”. Allora quella donna ripiegò il velo, attese Maria e glielo consegnò. Maria trovò la forza di guardare la donna con un tenue sorriso carico di dolore ma anche di gratitudine per quel gesto di solidarietà squisitamente femminile e materna. Poi prese il lino, lo baciò intensamente e lo consegnò a Maddalena.

Il corteo riprese lentamente il suo cammino, ma dopo pochi passi Gesù non resse la fatica e si accasciò sulla strada. Cercarono di strattonarlo per la cintura e di smuoverlo con spintoni, ma Gesù non si mosse; restò con le mani e le braccia distese sul selciato e con la testa appoggiata su una guancia. Quella scena mi strappava il cuore, ormai non reggevo alla pena. Anche i soldati, preoccupati che Gesù non potesse proseguire oltre, chiamarono il centurione il quale si rese subito conto delle condizioni del “condannato”, ormai allo stremo delle sue forze. Si guardò intorno come per cercare una soluzione. In quel momento era entrato dalla porta di Efraim e stava scendendo la strada un uomo di mezza età, robusto, accompagnato da due giovani figli che portavano gli attrezzi di lavoro. Le fattezze e il portamento facevano capire che era un colono, oriundo da qualche regione vicina, che tornava dai campi. Il centurione ebbe una pronta intuizione: fece fermare quell’uomo e gli ingiunse di seguire Gesù portandogli il palo della croce; voleva assicurarsi che Gesù potesse giungere al luogo della crocifissione. Ma l’uomo reagì energicamente rifiutando con violenza quell’imprevista e ripugnante prestazione.
Nel frattempo uno dei figli si era avvicinato a Gesù che stava tentando con sforzi penosi di sollevarsi; si incontrò con il suo sguardo e lo riconobbe. Tornò da suo padre che stava dimenandosi tra due soldati: “Padre, - gli disse - quell’uomo è Gesù, il Rabbi Profeta della Galilea. Aiutalo!”. Quell’uomo, che poi seppi chiamarsi Simone, si calmò, andò verso Gesù che lo guardò intensamente con un lieve sorriso, poi, guardando la ciurma con una smorfia di disgusto, prese il palo della croce e, senza una parola, se lo caricò sulle spalle accennando a riprendere il passo. A tutti noi venne un sospiro di sollievo. Il gesto della donna e quello di Simone ci parvero una benefica rugiada in mezzo a tanta durezza, a tanta aridità e violenza. Alcuni della ciurma si erano spostati più indietro accanto ad altri due condannati che venivano portando anch’essi il patibolo. Erano due predoni della banda di Barabba ed erano stati condannati anch’essi alla crocifissione.
Fatima.
il libro di d. Ferdinando IN QUELLA CASA C ERO ANCH IO, ha avuto molti consensi da parte di AUTORITÀ della chiesa e teologi, ha svuto l' imprimatur, la prefazione dal Vescovo di Verona di quel tempo (2005) mons. Flavio Roberto Carraro, ed è stato tradotto in un altre lingue col consenso dei vari Vescovi del luogo.
Oltretutto chi ha conosciuto di persona l anima bella di d. Ferdinando, sa che lui …Altro
il libro di d. Ferdinando IN QUELLA CASA C ERO ANCH IO, ha avuto molti consensi da parte di AUTORITÀ della chiesa e teologi, ha svuto l' imprimatur, la prefazione dal Vescovo di Verona di quel tempo (2005) mons. Flavio Roberto Carraro, ed è stato tradotto in un altre lingue col consenso dei vari Vescovi del luogo.
Oltretutto chi ha conosciuto di persona l anima bella di d. Ferdinando, sa che lui era in contatto diretto e costante con Gesù e la Madonna, e pur ammettendo di non aver mai avuto né visioni né rivelazioni, né dettature dal cielo, PERCHÉ TUTTO QUESTO ERA FRUTTO SOLO DELLA SUA INTIMITÀ CON DIO CHE OGNI PIÙ PICCOLO FEDELE PUÒ AVERE SE PREGA E AMA INTENSAMENTE, tutto ciò detto, non si può non rilevare l'azione dello Spirito Santo in questo scritto che tocca l'anima nella sua profondità e semplicità.
Auguro una proficua lettura come ricostituente spirituale in mezzo a tante sofferenze dovute soprattutto alla mancanza dei SACRAMENTI IN TEMPO PASQUALE. SEI TU, GESÙ, L'UNICO MIO BENE. Diciamolo spesso con la giaculatoria preferita da d. Ferdinando e offriamo le nostre pene per la Chiesa, l'Italia e le nostre famiglie.
Coraggio! Dio non ci abbandona se noi non lo abbandoniamo.

Patrizia