Il Reliquiario del Libretto: un capolavoro di oreficeria e storia di Papi, Re e Principi

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Il Reliquiario, detto "del Libretto", è uno dei capolavori forse meno conosciuti esposti al Museo dell'Opera del Duomo. Ecco qual è la sua storia e perché dovresti conoscerla.
Uno degli oggetti d’arte più importanti del patrimonio dell’Opera di Santa Maria del Fiore è il cosiddetto “Reliquiario del Libretto”, proveniente dal tesoro del Battistero e oggi esposto nel Museo dell’Opera del Duomo nella Sala delle Cantorie. Il valore di questo oggetto deriva da vari aspetti: devozionale, giacché contiene preziosissimi frammenti degli Strumenti della Passione, ovvero delle più sante reliquie della cristianità; storici, per gli importanti personaggi che ne hanno detenuto la proprietà (re, pontefici, sovrani bizantini e notabili europei); e, infine, artistiche, per la straordinaria fattura dell’oggetto, opera di vari grandi artisti di epoche ed ambiti diversi.

Innanzitutto, il nome “Libretto”, deriva dalla sua curiosa struttura che vede due reliquiari contenuti uno nell’altro. Il cosiddetto “Libretto” è il reliquiario interno, più antico, realizzato in Francia intorno alla metà del XIV secolo e avente la forma di un polittico in oro di minime dimensioni, costituito da sei scomparti, richiudibili su sé, come, appunto, le pagine di un piccolo libro. Quando aperto, mostra le sacre reliquie, identificate da filatteri e inserite in 72 trifore, ordinate in quattro file per scomparto.Le reliquie legate alla Passione, le più preziose, sono collocate nello scomparto centrale in ricettacoli cruciformi (per i frammenti della Croce) o con forme allusive al frammento contenuto (la Lancia, la Corona di spine); mentre nello scomparto superiore si conservano due miniature su pergamena (i cui originali sono tenuti, per ragioni di conservazione, nei depositi del Museo); esse raffigurano, sul recto, la Crocifissione di Cristo tra i santi Giovanni e Maria Maddalena, mentre sul verso, la Trinità insieme ai Ritratti di Carlo V di Francia (1338-80) e di sua moglie Giovanna di Borbone, committenti – come vedremo – del reliquiario stesso.

A tergo corre una lunga iscrizione che ricorda il committente, e similmente, sulla coperta dei due scomparti laterali estremi vi è una decorazione con gigli di Francia all'interno di losanghe. Un secolo e mezzo dopo, tra il 1500 e il 1501, giunto Firenze a seguito di vicende che vedremo, il “Libretto” fu a sua volta incluso in un secondo reliquiario, opera del fiorentino Paolo di Giovanni Sogliani, su committenza dell’Arte di Calimala, per destinarlo al Tesoro del Tempio di San Giovanni. Questo reliquiario esterno ha forma architettonica, a tempietto, in argento sbalzato, cesellato e dorato, con parti smaltate. Il piede è di forma allungata, con profilo mistilineo e decorazione a girali e volute fitomorfe fogliate ed efflorescenti, in rilievo, includenti due placchette con lo stemma dell’ Arte dei Mercanti di Calimala. Al di sopra vi è un nodo a sezione quadrangolare, con ornato a foglie d’acanto, dal quale parte una mensola, con girali simili al piede, compresa tra due volute che si raccordano al centro, in un medaglione a smalto traslucido in cui è rappresentato san Giovanni Battista.

La teca è parallelepipeda, a due facce, con vetrine in cristallo di rocca, spartite da semi-colonnine e da una cornice orizzontale, attraverso le quali è possibile vedere il Libretto; questo è lì sostenuto a sua volta da una base in forma di racemi fogliati, generati da un vaso dorato, affiancato da due angeli a tutto tondo, genuflessi, e decorato con smalti, perle e rubini balasci. Lungo i lati della teca corrono fasce in smalto champlevé con motivo a candelabre, mentre nei due riquadri laterali della parte superiore, due su ciascuno dei lati, vi sono medaglioni raffiguranti i Quattro evangelisti. La teca è sormontata da un timpano centinato e smaltato, con cornice a rosette, centrante un medaglione dov’è rappresentato il Vir Dolorum, pianto da due angeli. Ai quattro angoli troneggiano le aquile di Calimala, mentre, sulla sommità del timpano, si trova una statuetta raffigurante il Cristo risorto su un basamento in forma di sarcofago.

Alle forme nobili e complesse dell’opera corrisponde una storia altrettanto “prestigiosa” e intricata, che fu per la prima volta ripercorsa nel 1916 dal Poggi, e poi nel 1969 da Giulia Brunetti nel catalogo del Museo. Innanzitutto, le reliquie conservate al suo interno sono tra le più antiche, importanti e sante del mondo cristiano, giacché provengono dai ritrovamenti della Vera Croce e di altri oggetti collegati alla Passione di Cristo, da parte dell’Imperatrice Elena, madre dell’imperatore Costantino, a Gerusalemme, nella prima metà del IV secolo. Conservate quindi a Costantinopoli per secoli, alcune di queste reliquie, integre o in frammenti staccati, presero la via dell’Europa occidentale, come doni della famiglia imperiale a sovrani e a luoghi di culto, o come preda di razzie, quali il sacco di Costantinopoli del 1204, opera dei “latini” in occasione della quarta Crociata.

Pochi anni dopo questo triste evento, nel 1247, l’imperatore d’Oriente Baldovino II Porfirogenito vendette al re di Francia Luigi il Santo le famose Reliquie della Passione di Cristo: la Spugna del fiele, un frammento della Lancia di Longino, la Veste di porpora e la Corona di spine, per conservare e onorare le quali, il reale francese eresse a Parigi la celeberrima Sainte Chapelle: essa stessa una sorta di grande reliquiario in forma di tempio, atto a essere scrigno di queste santissime testimonianze materiali della Passione.

Fra il 1364 e il 1368 il successore di Luigi, Carlo V di Francia commissionò il Reliquiario “a Libretto”, per contenere alcuni frammenti di queste reliquie, e farne dono al fratello Luigi duca d’Angiò, e di ciò rimane iscrizione commemorativa nel reliquiario stesso. Per la realizzazione del “Libretto” da parte di maestranze francesi, si può ipotizzare una datazione intorno al 1370, come comproverebbe il confronto tra il ritratto di Carlo V, morto nel 1379, contenuto nella miniatura all’interno del libretto, con un suo ritratto riconoscibile in una Bibbia del 1371, nonché considerando l’assenza del reliquiario nell’Inventario del duca d’Angiò compilato tra il 1364 e il 1368.

Il reliquiario giunse quindi in Italia, probabilmente con lo stesso Luigi d’Angiò, quando, nominato a succedere alla regina Giovanna, il sovrano discese nel bel Paese. Dopo un salto cronologico nelle notizie ecco che il reliquiario ricompare infatti nel 1465 nell’Inventario delle gioie di Piero de’ Medici, che lo conservò nella Cappella privata di famiglia del Palazzo di Via Larga, affrescata dalla famosa Cavalcata dei Magi di Benozzo Gozzoli, proprio in quegli anni. A seguito della cacciata dei Medici (1494), e al saccheggio del loro Palazzo, il reliquiario, dato il suo enorme valore spirituale e materiale, fu incorporato nel tesoro dell’Arte di Calimala, a seguito di un’operazione che vide per intermediari l’Opera di S. Giovanni e la Signoria di Firenze, nonché il coinvolgimento di notabili del tempo quali l’abate di Camaldoli e il cardinal Francesco Piccolomini, che ne risultava a quel tempo proprietario. Questi l'aveva acquistato per 1500 fiorini, a conguaglio di debiti, e lo rivendette all'Arte di Calimala per 200 fiorini d'oro.

Fu quindi collocato in San Giovanni all’altare dedicato al santo; ma già il 30 marzo 1500, come riportano i documenti, per meglio proteggerne il contenuto e al tempo stesso esaltarlo, i consoli di Calimala, responsabili del tempio, deliberarono di commissionare all’orafo fiorentino Paolo di Giovanni Sogliani la realizzazione del reliquiario esterno, il cui argento fu ricavato dalla fusione di “due voti d’argento” appartenenti al Battistero. Nel febbraio dell’anno successivo l’opera era conclusa. Ma non le sue tormentate vicende, che videro il reliquiario consegnato in pegno alla Repubblica al tempo dell’assedio di Firenze già nel 1530, per poi essere riscattato nel 1532 e continuare quindi ad essere esposto in Battistero, fino alla metà del XIX secolo.

Nel 1886 lo straordinario oggetto compì il suo ultimo viaggio verso il Museo dell’Opera, dove però fu definitivamente esposto soltanto nel 1954. Oggi, nel nuovo allestimento del Museo, il Reliquiario sembra aver trovato in una delle sale più importanti quella pace che ne garantirà la trasmissione ai posteri: studiato, restaurato e conservato in una vetrina di ultima generazione, oggi a migliaia di visitatori ne è permessa la visione ravvicinata e a tutto tondo. E i contemporanei lo ammirano soprattutto per la rarità delle sue forme e l’eccezionalità della sua antichità, e forse anche per il prestigio delle sue provenienze, ma non più, o quasi, con gli occhi della devozione al suo sacro contenuto, che fu, paradossalmente, la ragione stessa della sua realizzazione. E che ne ha concesso la sopravvivenza fino a noi, attraverso i secoli.