Francesco, o la diplomazia degli impossibili

Ai negoziati sostituisce la preghiera. Predilige le armi soprannaturali. Ma calcola con consumata accortezza ogni sua parola. E anche i silenzi, come sul caso della giovane madre sudanese condannata a morte solo perché cristiana

di Sandro Magister

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Papa Francesco ha la stessa ambizione. Non è un ingenuo. Dosa le parole e i silenzi con consumata accortezza, da vero gesuita.

Ha detto e ripetuto più volte che i cristiani martirizzati in odio alla fede sono oggi più numerosi che nei primi secoli cristiani. Ma si guarda bene dello sfidare apertamente qualcuno degli odierni persecutori, citando nomi e fatti. "So molte cose sulla persecuzione che non mi sembra prudente raccontare per non offendere nessuno", ha detto nell'intervista di pochi giorni fa a "La Vanguardia".

A metà maggio, lo stesso giorno nel quale divenne di dominio pubblico la condanna a morte nel Sudan musulmano della giovane sposa e madre Meriam Yahya Ibrahim per la sola colpa di essere cristiana, Bergoglio ricevette in Vaticano il nuovo ambasciatore sudanese. Non una parola gli sfuggì sulla questione. Né gli è sfuggita dopo. Silenzio assoluto, a dispetto della crescente campagna mondiale per la liberazione della donna.

"La Santa Sede cerca la maniera più efficace per intervenire, che non sempre è quella di gridare", ha giustificato il cardinale Parolin, segretario di Stato.

Non sorprende che papa Francesco sia convinto difensore dei silenzi di Pio XII, "perché non uccidessero più ebrei".
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