I sei protestanti che hanno lavorato alla costruzione della nuova Messa

Di seguito presentiamo ai lettori due ampi estratti dal libro Golpe nella Chiesa sulla questione delle influenze protestanti nella nuova Messa di Paolo VI. Per quelle massoniche rimandiamo all’articolo Rivoluzione, Massoneria e Vaticano: la dinamica di una questione aperta.

Riportiamo qui di seguito alcuni fatti, dichiarazioni e giudizi sulla Riforma liturgica e sulla “Nuova Messa” di Paolo VI provenienti da ambienti qualificati, sia cattolici che protestanti.

1) Testimonianze in ambito cattolico.
La Documentation Catholique del 3 maggio 1970 pubblicava, in copertina, una sorprendente fotografia che ritraeva Paolo VI (sorridente) insieme a sei studiosi protestanti (ultrasorridenti, e ne avevano ben motivo): il dr. Georges, il canonico Jasper, il dr. Shepard, il dr. Konneth, il dr. Smith e fr. Max Thurian, invitati non a titolo personale bensì in veste di rappresentanti ufficiali del Consiglio Ecumenico delle Chiese, delle Comunità anglicana e luterana e di quella di Taizé.

La loro qualifica ufficiale era quella di osservatori ai lavori della Commissione Liturgica, costituita da Paolo VI per l’elaborazione della nuova Messa. Ben presto però si venne a sapere che il sestetto protestante non si era limitato ad osservare, questo evidentemente era solo un ruolo di facciata, bensì aveva preso parte attiva, con i suoi suggerimenti, all’elaborazione della nuova Messa di Paolo VI.

Era quanto rivelava senza remore Mons. W. W. Baum (in seguito Cardinale), allora responsabile della Commissione per l’ecumenismo in seno alla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti d’America: «Essi non sono lì come semplici osservatori, ma anche come consulenti e partecipano pienamente alle discussioni circa il rinnovamento liturgico cattolico. Non avrebbe grande significato se ascoltassero soltanto, ma essi contribuiscono[1].

Ancor prima, anche Notitiae, Bollettino ufficiale del Consilium guidato da Mons. Bugnini (e poi della Sacra Congregazione per il Culto Divino), nel n. 23 del novembre 1966 si era lasciato sfuggire che gli esperti protestanti «designati dalle loro comunità ecclesiali […] hanno seguito i lavori del Consilium con gioia, attenzione, e una fraterna cooperazione nei colloqui con i Relatori»[2].

Anche uno degli stessi periti protestanti, il canonico Jasper, in una lettera allo studioso cattolico Michael Davies (convertitosi dall’anglicanesimo) aveva confermato il ruolo attivo dei cosiddetti osservatori, i quali nelle riunioni informali pomeridiane avevano potuto godere di ampia libertà nel suggerire i loro desiderata ai membri del Consilium per la riforma liturgica. Una tattica peraltro già adoperata con i Padri conciliari, e con pieno successo, anche dai famosi osservatori non cattolici presenti al Concilio Vaticano II[3].

La già citata Rivista ufficiale del Consilium, nel n. 35 del novembre 1967 citava gli apprezzamenti (molti dei quali invero sfavorevoli) sulla riforma liturgica da parte dei responsabili cattolici dell’Apostolato dei laici di varie nazioni. Tra questi, quello seguente dei cattolici di Svezia: «È interessante rilevare, ad esempio, la soddisfazione constatata in Svezia di fronte ai vantaggi ecumenici della riforma, l’avvicinamento effettuato con le forme liturgiche della Chiesa luterana»[4]. E questo, si badi, già subito dopo le prime riforme liturgiche e ben due anni prima dell’inaugurazione della filoprotestante nuova Messa.

Il noto scrittore franco-americano Julien Green, ex anglicano convertitosi al cattolicesimo, racconta come, scosso e sgomentato di fronte allo spettacolo della nuova Messa di Paolo VI, non aveva potuto far a meno di definirla «un’imitazione molto grossolana della funzione anglicana che ci era stata familiare nella nostra infanzia» e, rivolgendosi a sua sorella ivi presente, aveva esclamato: «Ma perché ci siamo convertiti?»[5].

E così continuava: «D’un tratto ho capito con quanta abilità si portava la Chiesa da un modo di credere ad un altro totalmente diverso. Non era una manipolazione della fede, ma qualcosa di più insidioso. […] A quelli che mi obiettassero che il sacrificio è menzionato almeno tre volte nella nuova Messa, io potrei rispondere che c’è una differenza molto grande tra il menzionare una verità e il metterla in evidenza»[6].

Persino il già menzionato Jean Guitton, il neomodernista amico di Paolo VI, non esitò, qualche anno fa, a dichiarare apertamente: «L’intenzione di Paolo VI nella liturgia, a riguardo della cosiddetta volgarizzazione della Messa, era di riformare la liturgia cattolica così che coincidesse pressappoco con la liturgia protestante… con la Cena protestante […].

La Messa di Paolo VI si presenta anzitutto come un banchetto, non è vero? E insiste molto sull’aspetto di partecipazione ad un banchetto e molto meno sulla nozione di sacrificio, di sacrificio rituale, in faccia a Dio, mentre il sacerdote mostra solo le spalle.

Allora non credo di sbagliarmi dicendo che l’intenzione di Paolo VI e della nuova liturgia, che porta il suo nome, è di chiedere ai fedeli una più grande partecipazione alla Messa, è di dare un posto più grande alla Scrittura ed un posto meno grande a tutto ciò che in essa vi è, alcuni dicono di magico, altri di consacrazione transustanziale, e che è la fede cattolica. In altre parole, c’è in Paolo VI un “intenzione ecumenica di cancellare, o almeno di correggere o attenuare, ciò che vi è di troppo cattolico, in senso tradizionale, nella Messa, e di avvicinare la Messa cattolica – lo ripeto – alla Cena calvinista»[7].

2) Testimonianze in ambito protestante.
Altrettanto espliciti e significativi sono i commenti in campo protestante.
G. Siegwalt, docente di teologia protestante a Strasburgo, ammetteva che «non vi è nulla, nella messa ora rinnovata, riformata, che potrebbe infastidire veramente il cristiano evangelico (cioè protestante, ndr) o che potrebbe infastidirlo più che non possano farlo […] degli elementi, reali o assenti, del culto protestante»[13].

«Se si tiene conto dell’evoluzione decisiva della liturgia cattolica, – scriveva da parte sua il protestante R. Mehl – della possibilità di sostituire al Canone della messa altre preghiere liturgiche, della cancellazione dell’idea secondo cui la messa costituirebbe un sacrificio […], non ci sono più ragioni per le Chiese della Riforma di proibire ai propri fedeli di prendere parte all’Eucaristia nella Chiesa Romana»[14].

«La liturgia romana revisionata – scriveva B. C. Pawley, ar- cidiacono anglicano di Canterbury e osservatore al Vaticano II – ben lungi dall’essere causa di dissenso, rassomiglia molto alla liturgia anglicana […]. Il decreto del Concilio concerne solo i principii, i quali corrispondono largamente a quelli della prefazione di Cranmer (eretico autore della liturgia anglicana, ndr) al Book of Common Prayer. E sono:

a) La traduzione dei riti in lingua vernacolare.
b) La revisione dei testi su dei modelli scritturali e patristici.
c) La fine del predominio del rito romano.
d) La declericarizzione dei riti e l’incoraggiamento alla partecipazione attiva dei laici.
e) La diminuzione dell’influsso monastico e legami più ovvii col mondo contemporaneo. […]

Nella sua modernità, la nuova liturgia, malgrado il suo ritardo di quattrocento anni, ha sorpassato in molti punti la liturgia di Cranmer»[15].

Da parte sua il riformato (calvinista) frère Max Thurian di Taizé – uno degli osservatori – non nascondeva la nota avversione dei protestanti per il Canone Romano dell’Antica Messa, affermando che esso non aveva certo «gli stessi pregi delle tre nuove preghiere eucaristiche, frutto del Concilio Vaticano II che stanno per essere promulgate». Pregi che erano evidentemente frutto della collaborazione del sestetto protestante ai lavori della Commissione liturgica.

Il Canone Romano della Messa antica costituiva, infatti, per il Thurian «un problema dal punto di vista ecumenico» a causa ovviamente dell’«accento messo […] sulla nozione di sacrificio»[16]. Inutile dire – si rallegrava il Thurian – che ora invece, col nuovo rito di Paolo VI «forse […] delle comunità non cattoliche potranno celebrare la Santa Cena con le stesse preghiere della Chiesa cattolica. Teologicamente, è possibile»[17]. Miracoli dell’ecumenismo!

Detto e fatto: «Date le forme attuali della celebrazione eucaristica nella Chiesa cattolica – proclamava il Concistoro della Chiesa della Confessione di Augsburg di Alsazia e Lorena – […] dovrebbe essere possibile, oggi, per un protestante, riconoscere nella celebrazione eucaristica cattolica la cena istituita dal Signore (cioè la Cena protestante, ndr). […] Noi ci teniamo ad utilizzare le nuove preghiere liturgiche (della Messa di Paolo VI, ndr) nelle quali noi ci ritroviamo e che hanno il vantaggio di sfumare la teologia del sacrificio»[18].

[1] Intervista al Detroit News del 27 giugno 1967.
[2] Notitiae, anno 1966, II, p. 313.
[3] Michael Davies, The Roman Rite Destroyed, Devon 1978, pp. 42-43.
[4] Notitiae, anno 1967, III, p. 395.
[5] J. Green., Ce qu’il faut d’amour à l’homme, ed. Plon, Parigi, 1978, pp. 137-138.
[6] Ibidem.
[7] Intervista a Radio Courtoisie del 19 dicembre 1993, riportata in trascrizione ne La Messe a-t-elle une histoire?, in Savoir et Servir, n.55, Montrouge, 1994, p. 94.
[…]
[13] Vedi il suo articolo L’intercommunion, in Doc. Cath. 1555 del 18 gennaio 1979, p. 96.
[14] Le Monde, 10 settembre 1972, p. 12.
[15] B. e M. Pauwley, Rome and Canterbury through four centuries, Mowbrays, 1974, pp. 348-349.
[16] Verbum Caro, n. 85, 1° trim. 1968, p. 64.
[17] La Croix, 30 maggio 1969, p. 10.
[18] Église en Alsace, rivista della Diocesi di Strasburgo, 8 dicembre 1973 e 1 gennaio 1974.

Immagine in evidenza: The six Protestant observers with Pope Paul VI. From left to right: Dr. George, Canon Jasper, Dr. Shephard, Dr. Konneth, Dr. Smith, Brother Max Thurian (in white). They represent the following Protestant organizations: The World Council of Churches, the Church of England, the Lutheran Church, and the Protestant Community of Taizé. Tratta da: The Traditional Mass vs. the New Mass
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