Tutte buone le religioni? Tutte uguali? Confutiamo questa bestemmia!
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Le do atto, Sig. N. N., di aver presentato nel modo più efficace possibile la obiezione forse modernamente più diffusa contro quel dogmatismo religioso, che ha indubbiamente la sua massima espressione nella religione cattolica. E l’obiezione - più o meno esplicita - di quella che potremmo chiamare la miscredenza sedicente religiosa. È ovvia quindi l’importanza di una chiara risposta.
Mi permetta però, egregio amico, di iniziare con qualche breve e non inutile schermaglia. Poi le darò il. . . colpo di grazia. Ma niente paura: non sarà di morte ma di vita.
Riprenderò le sue stesse parole. «La religione è un sentimento». Certo, e dei più intimi e profondi, anzi il più intimo di tutti. Ma, fondato su di che? Sulla realtà o sulla illusione? Se lo fosse sulla illusione, sarebbe la massima sciagura dell’uomo. Qualunque sia infatti la religione, si tratta sempre di un sentimento collegato con la esistenza di un Dio e con una vita eterna, comunque concepiti. Ma esiste veramente questo Dio ? È un Dio personale capace di giudicare, di punire o di premiare? È veramente indifferente al modo pratico di andare a lui?
Esiste lo spirito e la vita eterna? Problemi supremamente impegnativi, capaci di dare, a seconda della risposta, impronte decisamente diverse alla vita, problemi estremamente realistici, che reclamano soluzioni reali e non illusioni. Né si possono eludere evadendo su ipotesi neutre, perché tra l’esistere o il non esistere di tali realtà non c’è soluzione intermedia.
«Dio non ha bisogno che noi gli diamo un nome» e ne precisiamo le qualità. Anche questo è certissimo, perché Dio non ha bisogno di niente. Ma siamo noi che ne abbiamo bisogno, precisamente per andare a lui, come risulta dai precedenti rilievi. Del resto, anche più sinteticamente, basta riflettere al significato del sentimento religioso, pur inteso nella sua massima genericità. Un minimo di concretezza esige che tale sentimento si risolva fondamentalmente in riverenza e amore. Ma amore verso chi? Può un giovane innamorarsi di un’ombra?
S’innamorerà di una donna conosciuta come quella tale. Così non si potrà andare amorosamente a Dio senza prima concretamente conoscerlo, in sé, nella sua qualità, nei suoi voleri. «Basta elevarsi a Dio con una rispondenza interiore, senza dogmi e misteri». Indubbiamente basta la «rispondenza interiore»: ma purché sia veramente tale e attinga quindi veramente Dio nella sua verità. Se quindi, per ipotesi che nessuno evidentemente può « a priori » escludere, questo Dio, per accrescere l’intimità di tale incontro, volesse rivelare alla creatura umana i segreti più intimi delle sue sconfinate perfezioni, questi andrebbero riverentemente accolti e adorati (pur nella residua loro intrinseca oscurità, per la ovvia incapacità della finita mente umana di comprendere intrinsecamente l’infinito) e avremmo i misteri dogmatici, inebrianti rivelazioni della sublime realtà di Dio.
E se, ancora per ipotesi, Iddio volesse creare tra sé e l’uomo una trascendente relazione d’unione vitale, così da elevarlo fino alla partecipazione intima della sua stessa vita divina, avremmo la entusiasmante realtà dell’ordine soprannaturale e della trascendente «rispondenza interiore», rivelata dal Cristianesimo, dalla quale evidentemente non si potrebbe prescindere, rappresentando il fattore più impegnativo della «rispondenza interiore» stessa.
«Ognuno sarebbe nel giusto arrivando a Dio per la via che Dio ha tracciato per lui». Qui non bisogna confondere la tolleranza di Dio e le soluzioni, per così dire, di ripiego, nei famosi casi della buona fede dei selvaggi, dei rozzi, ecc. (la cui adesione al vero Dio e alla vera rivelazione cristiana potrebbe aversi in modo oscuro e implicito), ma bisogna guardare all’obiettivo e completo piano divino. E allora ripugna alla perfezione di Dio che egli tracci agli uomini strade contraddittorie per venire a lui, come sono contraddittorie, sia in ordine teorico che pratico, molte religioni confrontate tra loro.
Questa contraddittorietà risulta in modo schiacciante specialmente rispetto al Cristianesimo, data la portata estremamente impegnativa delle sue enormi affermazioni, soprattutto nella pienezza religiosa cattolica. Bastano due sole idee: Incarnazione, Eucaristia. O sono vere, e impegnano fino all’estremo. O sono false, e vanno rigettate con tutte le forze. È impossibile che Dio prospetti indifferentemente per gli uni e per gli altri l’adorazione o il disprezzo di tali sublimi misteri. Essi infatti concretizzano proprio la divina presenza e il sentimento e l’incontro con lui, creando l’alternativa o del più ineffabile incontro o del più tragico errore, o della più impegnativa e doverosa adorazione o della più ridicola e umiliante superstizione, spinta fino al più estremo feticismo.
Non avrebbe più senso la sapienza e la bontà di Dio se egli fosse indifferente a tutto questo. Per lo meno si dovrebbe dire che egli si disinteressa completamente dell’uomo e non sarebbe più giustificabile nessun sentimento religioso. Ma, come dicevo, queste non sono che schermaglie. Siano cose come non dette. La tesi delle « religioni tutte buone » si frantuma davanti al seguente colpo di grazia: davanti
al fatto storico, che si riassume in un nome, perenne sfida a ogni indifferentismo religioso: Gesù.
Ci piaccia o non ci piaccia (benché è evidente la preziosità del dono e dovrà quindi piacerci), si comprenda o non si comprenda il perché del clamoroso fatto, se Cristo si è presentato al mondo come Dio, se ne ha dato le schiaccianti prove con la sublime sua dottrina, con lo stupore delle profezie, con il clamore dei miracoli, fino all’ultimo supremamente decisivo della sua risurrezione, se è venuto a insegnare una precisa via del cielo, imponendola a tutti gli uomini sotto pena di perdizione, a noi non resta che fedelmente seguirlo: «Chi crede e si fa battezzare si salverà; chi non crede sarà condannato» (Marco 16, 16; cfr. Giovanni 3,18; 1 Giovanni 3, 23); «Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi invece nega fede al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio pesa sopra di lui» (Giovanni 3, 36) ; «Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» (Giovanni 11, 26); «Andate dunque, ammaestrate tutte le genti. .. insegnando loro a osservare tutto quanto vi ho comandato» (Matteo 28, 19-20); «Chi avrà trasgredito uno solo di questi precetti anche minimi e avrà insegnato agli uomini e fare lo stesso, minimo sarà nel regno dei cieli» (Matteo 5,19); «non passerà un solo iota o un apice della legge» (Matteo 5, 18); «nel giorno del giudizio gli uomini dovranno render ragione di ogni parola inutile da essi detta» (Matteo 12, 36).
Si dubita del fatto? Si studi: fiduciosamente. È prevedibile infatti che alla mente imparziale e al cuore retto la verità non sarà difficile a raggiungersi, data l’importanza fondamentale del fatto per la vita di ognuno. Ma disinressarsene ormai è impossibile. Se il grido della storia presenta così clamorosamente una sola via tracciata da Dio per condurre a sé gli uomini, non ci sono che due soluzioni: o dimostrarla falsa o seguirla.
Tratto da:
Servo di Dio Mons. Per Carlo Landucci, teologo della Casa Pontificia sotto Papa Pio XII, in Cento problemi di Fede