La risposta di Viganò a Magister: «Vaticano II da dimenticare. Non sono “sull’orlo dello scisma”»

Caro Magister,

mi permetta di replicare al Suo articolo “L’Arcivescovo Viganò sull’orlo dello scisma”, pubblicato su Settimo Cielo il 29 Giugno.

Sono consapevole che l’aver osato esprimere un’opinione fortemente critica sul Concilio sia sufficiente a risvegliare lo spirito inquisitorio che in altri casi è oggetto di esecrazione da parte dei benpensanti. Nondimeno, in una disputa rispettosa tra ecclesiastici e laici competenti, non mi pare sia inappropriato sollevare problemi che rimangono a tutt’oggi irrisolti, primo fra tutti la crisi che affligge la Chiesa a partire dal Vaticano II, giunta ormai alla devastazione.

Vi è chi parla di travisamento del Concilio; chi della necessità di tornare ad una sua lettura in continuità con la Tradizione; chi dell’opportunità di correggere eventuali errori in esso contenuti, o di interpretare in senso cattolico i punti equivoci. Sul fronte opposto, non mancano coloro che considerano il Vaticano II come un brogliaccio a partire dal quale proseguire nella rivoluzione, nel cambiamento, nella trasformazione della Chiesa in un’altra entità nuova, moderna, al passo coi tempi. Questo fa parte delle normali dinamiche di un dialogo che troppo spesso è invocato ma raramente praticato: chi sinora ha espresso dissenso su quanto da me affermato non è mai entrato nel merito della questione, limitandosi ad affibbiarmi epiteti che già meritarono miei ben più illustri e venerabili Confratelli. Ed è curioso che, tanto nell’agone dottrinale quanto in quello politico, i progressisti rivendichino per sé un primato, uno stato d’elezione che colloca apoditticamente l’avversario in una posizione di ontologica inferiorità, indegno di attenzione e di risposta e semplicisticamente liquidabile come lefebvriano sul versante ecclesiale o fascista su quello sociale. Ma la mancanza di argomenti non legittima costoro a dettare le regole, né a decidere chi ha diritto di parola, specialmente quando la ragione, ancor prima della fede, dimostrano dove sia l’inganno, chi ne sia l’artefice e quale lo scopo.

Inizialmente mi era parso che il contenuto del Suo articolo fosse da considerare piuttosto come un comprensibile tributo al Principe, si trovi esso nelle affrescate sale della Terza Loggia o negli uffici di design dell’Editore; eppure, nel leggere quanto Ella mi attribuisce, ho riscontrato una inesattezza – chiamiamola così – che spero sia frutto di un fraintendimento. Le chiedo quindi di accordarmi lo spazio di replica su Settimo Cielo.

Ella afferma che avrei accusato Benedetto XVI «d’aver “ingannato” la Chiesa intera dando a credere che il Concilio Vaticano II fosse immune da eresie e, anzi, andasse letto in perfetta continuità con la vera dottrina di sempre». Non mi pare di aver mai scritto una cosa simile riguardo al Santo Padre, al contrario: ho detto, e lo riaffermo, che siamo stati tutti – o quasi tutti – tratti in inganno da chi ha usato il Concilio come un “contenitore” dotato di una sua implicita autorità e dell’autorevolezza dei Padri che vi presero parte, stravolgendone però il fine. E chi è caduto in questo inganno l’ha fatto perché, amando la Chiesa e il Papato, non poteva persuadersi che in seno al Vaticano II una minoranza di organizzatissimi congiurati potesse usare un Concilio per demolire, dal di dentro, la Chiesa; e che nel farlo potesse contare sul silenzio e sull’inazione dell’Autorità, se non sulla sua complicità. Questi sono fatti storici, dei quali mi permetto di dare una lettura personale, ma che reputo possa essere condivisa.

Mi permetto anche di ricordarLe, se ve ne fosse bisogno, che le posizioni di moderata rilettura critica del Concilio in senso tradizionale da parte di Benedetto XVI fanno parte di un lodevole passato recente, mentre nei formidabili anni Settanta ben altra era la posizione dell’allora teologo Joseph Ratzinger. Autorevoli studi si affiancano alle stesse ammissioni del Professore di Tubinga confermando le parziali resipiscenze dell’Emerito. Non vedo nemmeno un «temerario atto d’accusa sferrato da Viganò contro Benedetto XVI per i suoi “fallimentari tentativi di correzione degli eccessi conciliari invocando l’ermeneutica della continuità”», poiché questa è opinione ampiamente condivisa non solo negli ambienti conservatori, ma anche e soprattutto in quelli progressisti. E andrebbe detto che quello che i novatori sono riusciti ad ottenere con l’inganno, l’astuzia e il ricatto fu il risultato di una visione che abbiamo ritrovato poi applicata al massimo grado nel “magistero” bergogliano di “Amoris laetitia”. L’intenzione dolosa è ammessa dallo stesso Ratzinger: «Sempre più cresceva l’impressione non ci fosse nulla di stabile, che tutto può essere oggetto di revisione. Sempre più il Concilio pareva somigliare a un grosso parlamento ecclesiale, che poteva cambiare tutto e rivoluzionare ogni cosa a modo proprio» (cfr. J. Ratzinger, “La mia vita”, traduzione dal tedesco di Giuseppe Reguzzoni, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 1997, pp. 99). Ma ancor di più dalle parole del domenicano Edward Schillebeecks: «Ora lo diciamo in modo diplomatico, ma dopo il Concilio ne trarremo le conseguenze implicite» (“De Bazuin” n. 16, 1965).

Abbiamo conferma che la voluta ambiguità dei testi aveva come scopo proprio il tenere insieme visioni opposte e inconciliabili, in nome di una valutazione di utilità e a detrimento della Verità rivelata. Una Verità che, quando viene proclamata integralmente, non può non esser divisiva, così come è divisivo Nostro Signore: «Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione» (Lc 12, 51).

Non trovo vi sia nulla di riprovevole nel suggerire di dimenticare il Vaticano II: i suoi fautori hanno saputo disinvoltamente esercitare questa “damnatio memoriae” non con un solo Concilio, ma con tutti, giungendo ad affermare che il loro era il primo di una nuova chiesa, e che a partire dal loro concilio era finita la vecchia religione e la vecchia Messa. Ella mi dirà che queste sono le posizioni degli estremisti, e che la virtù sta nel mezzo, ossia tra quanti considerano che il Vaticano II sia solo l’ultimo di un’ininterrotta serie di eventi in cui parla lo Spirito Santo per bocca dell’unico ed infallibile Magistero. Se così fosse, si dovrebbe spiegare perché la chiesa conciliare si sia data una nuova liturgia e un nuovo calendario, e conseguentemente una nuova dottrina – “nova lex orandi, nova lex credendi” – prendendo sdegnosamente le distanze dal proprio passato.

La sola idea di metter da parte il Concilio suscita lo scandalo anche in quanti, come Lei, riconoscono la crisi degli ultimi anni, ma si ostinano a non voler riconoscere il legame di causalità tra il Vaticano II e i suoi logici ed inevitabili effetti. Lei scrive: «Attenzione: non il Concilio male interpretato, ma il Concilio in quanto tale e in blocco». Le chiedo allora: quale sarebbe l’interpretazione corretta del Concilio? Quella che ne dà Lei o quella che ne davano – mentre ne scrivevano i decreti e le dichiarazioni – i suoi operosissimi artefici? o forse quella che ne dà l’Episcopato tedesco? o quella dei teologi che insegnano nelle Università Pontificie e che vediamo pubblicati sui più diffusi periodici cattolici del mondo? o quella di Joseph Ratzinger? o quella di mons. Schneider? o quella di Bergoglio? Basterebbe questo per comprendere quanto danno abbia causato anche solo l’aver deliberatamente adottato un linguaggio tanto fumoso, da legittimare interpretazioni opposte e contrarie, sulla cui base si è poi avuta la famosa primavera conciliare. Ecco perché non esito a dire che quell’assise andrebbe dimenticata «in quanto tale e in blocco», e rivendico il diritto di affermarlo senza per questo rendermi colpevole del delitto di scisma per aver attentato all’unità della Chiesa. L’unità della Chiesa è inseparabilmente nella Carità e nella Verità e dove regna o anche solo serpeggia l’errore non vi può essere Carità.

La favola bella dell’ermeneutica – ancorché autorevole per il suo Autore – rimane nondimeno un tentativo di voler dar dignità di Concilio ad un vero e proprio agguato contro la Chiesa, per non screditare con esso i Pontefici che quel Concilio hanno voluto, imposto e riproposto. Tant’è vero che quegli stessi Pontefici, uno dopo l’altro, assurgono agli onori degli altari per esser stati “papi del Concilio”.

Mi permetto di citare una frase dell’articolo che la dott.ssa Maria Guarini, in reazione al Suo pezzo su Settimo Cielo, ha pubblicato il 29 Giugno su Chiesa e postconcilio, intitolato: “Mons. Viganò non è sull’orlo dello scisma. Molti nodi stanno venendo al pettine”: «Ed è proprio da qui che nasce e per questo rischia di continuare – senza esiti (finora, tranne che per il dibattito innescato da mons. Viganò) – il dialogo tra sordi, perché gli interlocutori usano griglie di lettura della realtà diverse: il Vaticano II, cambiando il linguaggio, ha cambiato anche i parametri di approccio alla realtà. E capita di parlare della stessa cosa alla quale, tuttavia, si danno significati diversi. Tra l’altro la caratteristica principale dei gerarchi attuali è l’uso di affermazioni apodittiche, senza mai prendersi la briga di dimostrarle o con dimostrazioni monche e sofiste. Ma di dimostrazioni non hanno neppure bisogno, perché il nuovo approccio e il nuovo linguaggio hanno sovvertito tutto “ab origine”. E il non dimostrato dell’anomala pastoralità priva di principi teologici definiti è proprio ciò che ci toglie la materia prima del contendere. È l’avanzata del fluido cangiante dissolutore informe, in luogo del costrutto chiaro, inequivocabile, definitorio, veritativo: l’incandescente perenne saldezza del dogma contro i liquami e le sabbie mobili del neo-magistero transeunte».

Continuo a sperare che il tono del Suo articolo non sia stato dettato dal semplice fatto di aver osato riaprire il dibattito su quel Concilio che molti, troppi nella compagine ecclesiale, considerano un “unicum” nella storia della Chiesa, quasi idolo intoccabile.

Resti certo che, a differenza di molti vescovi, come quelli del “German Synodal Path”, che sono già andati ben oltre l’orlo dello scisma – promuovendo e pretendendo sfrontatamente di imporre alla Chiesa universale ideologie e pratiche aberranti – non nutro alcuna velleità di separarmi dalla Madre Chiesa, per l’esaltazione della quale rinnovo ogni giorno l’offerta della mia vita.

“Deus refugium nostrum et virtus,
populum ad Te clamantem propitius respice;
Et intercedente Gloriosa et Immaculata Virgine Dei Genitrice Maria,
cum Beato Ioseph, ejus Sponso,
ac Beatis Apostolis Tuis, Petro et Paulo, et omnibus Sanctis,
quas pro conversione peccatorum,
pro libertate et exaltatione Sanctae Matris Ecclesiae,
preces effundimus, misericors et benignus exaudi”.

Riceva, caro Sandro, il mio benedicente saluto con l’augurio di ogni bene, in Cristo Gesù.

Carlo Maria Viganò

3 Luglio 2020
Sant’Ireneo, Vescovo e Martire

Fonte:

magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/07/06/sul-concilio-una-lettera-di-vigano-e-una-lezione-di-brandmuller-chi-ha-ragione-e-chi-no/
Maurizio Muscas
Ma scusate, se per stessa ammissione dei patrigni conciliari i documenti sono in perfetta contraddizione col Concilio di Trento, che il CVII fu " '89 della Chiesa " etc. di cosa parliamo ancora?
fidelis eternis
Da dimenticare? Direi da dare alle fiamme sulla pubblica piazza, ci vuole una damnatio memoriae per l, 'opera di quei malfattori che hanno redatto documenti come Nostra Aetate, Unitatis Reintegratio, Dignitatis Humanae. Gente già punita dai papi cattolici e richiamata da falsi papi a ribaltare la dottrina bimillenaria della Chiesa: è d'obbligo l'anatema su di loro, ma anche sui "papal imposters",…Altro
Da dimenticare? Direi da dare alle fiamme sulla pubblica piazza, ci vuole una damnatio memoriae per l, 'opera di quei malfattori che hanno redatto documenti come Nostra Aetate, Unitatis Reintegratio, Dignitatis Humanae. Gente già punita dai papi cattolici e richiamata da falsi papi a ribaltare la dottrina bimillenaria della Chiesa: è d'obbligo l'anatema su di loro, ma anche sui "papal imposters", altro che santi!