Papa Leone e il paradosso di un’accoglienza senza verità
La prima riguarda il paradosso di insegnare nella pratica ciò che si nega nella teoria. Se la dottrina resta immutata – e il Catechismo è chiaro nell’indicare certi comportamenti come peccato – non si può al tempo stesso adottare una prassi che li accoglie senza richiamare alla conversione. Accogliere senza proporre un cambiamento di vita significa svuotare di senso la dottrina: la si lascia intatta sulla carta, ma la si contraddice nei fatti. È un doppio linguaggio che confonde i fedeli e riduce l’accoglienza evangelica a pura tolleranza mondana, lontana dal “Va’ e non peccare più” pronunciato da Cristo.
La seconda aporia riguarda l’affermazione “siamo tutti figli di Dio”. In realtà, la fede cattolica insegna che tutti siamo creature di Dio, ma diventiamo figli solo mediante la grazia e il Battesimo. Dire il contrario significa cancellare la necessità della fede, dei sacramenti e della conversione. Se fossimo già figli di Dio in senso pieno, la missione della Chiesa perderebbe di significato: il Battesimo diventerebbe un rito facoltativo, la vita di grazia un optional. Questi due nodi – accoglienza senza verità e figliolanza intesa in senso indistinto – rivelano il rischio di una pastorale che rassicura senza salvare, che consola ma non converte. Ed è qui che nasce lo smarrimento: la Chiesa non è chiamata a parlare il linguaggio del mondo, ma a custodire l’integrità della fede e a condurre ogni creatura a diventare veramente figlio di Dio.
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