Tempi di Maria
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La VERA PACE: cos’è e come conquistarla

Pax est “tranquillitas ordinis": ubi pax, ibi Deus

Diceva San Massimiliano Kolbe: Serva ordinem et ordo te servabit” (conserva l'ordine e l'ordine conserverà te) e, Sant'Agostino, così definiva la pace: “Pax est tranquillitas ordinis(la pace è la tranquillità dell'ordine). Ordine totale e integrale: materiale, corporale, morale e spirituale. Dove tutto è nell’ordine tutto è secondo Dio (e viceversa); dove c’è quest’ordine c’è quella tranquillità che è pace. Dove c’è pace c’è Dio ("ubi pax, ibi Deus") e dove c’è Dio c’è appagamento pieno, gioia, felicità e ogni altro bene.

Molto significativo, per comprendere il vero senso dell’ordine – quello di cui parla San Massimiliano, la cui comprensione e attuazione sono necessarie per l’intendimento e il conseguimento della vera pace – è il concetto di creazione. Secondo San Tommaso Dio, nel creare il mondo, seguì un ordine secondo queste quattro fasi: opus creationis, opus distinctionis, opus ornatus e opus consummationis. Dio, innanzitutto, creò la materia (opus creationis); separò, poi, la luce dalle tenebre, il firmamento dalla terra e le acque dalla terraferma (opus distinctionis); in un terzo “momento” adornò la terra con tutte le creature del regno vegetale e animale, con la creazione finale dell'uomo come la più perfetta delle sue opere (opus ornatus). L’opera della creazione, a questo punto, era compiuta (opus consummationis). Ora, esiste un parallelismo tra l’opera della creazione e quella della redenzione. Il punto che ci interessa è il seguente: come Dio nell’opera creativa “distinse” e da questa distinzione ne seguì l’ordine cosmico, così anche nell'opera redentiva non può esserci ordine senza vita morale e non può esserci vita morale se non c’è separazione tra vero e falso, tra bene e male, tra grazia e peccato. Qui emerge un concetto chiave: senza separazione tra ciò che deve essere separato perché non può coesistere non può esserci ordine e di conseguenza non può esserci quella pace che l’uomo cerca. Questo concetto è di un’importanza straordinaria e non può essere trascurato senza inficiare, in modo radicale, il percorso verso la ricerca e il conseguimento della vera pace.

“Opus iustitiae pax”

Il motto pontificio del grande Papa Pio XII era “opus iustitiae Pax” (la pace è opera della giustizia). Chi opera in favore della pace e si impegna per farla regnare dentro e fuori di sé fa opera di giustizia. Vale, però, anche il discorso inverso che mi sembra ancora più importante da rilevare: chi vive e pratica la giustizia ottiene la pace per sé e per gli altri. Ci sono due accezioni della giustizia, una biblica e l’altra morale. La giustizia, sul piano morale, è una delle quattro virtù cardinali che stanno a fondamento del retto agire umano. Giusto, in tal senso, è colui che dà a ciascuno ciò che gli spetta (“unicuique suum tribuit”) con volere costante e perenne. Oggetto della virtù della giustizia è, quindi, dare o rispettare ciò che è di ciascuno e che gli è dovuto: il diritto, quindi, nel senso di “ipsam rem iustam (ciò che è giusto in sé). Il giusto, così, è colui che rispetta i diritti altrui e si adopera ad assolvere ogni dovere nei confronti di qualunque persona verso cui ne abbia. Sempre e comunque. Qualsiasi possa essere il costo e il pezzo da pagare.

Occorrerebbe esplicitare maggiormente il concetto per capire quanto questo impegno, se vissuto integralmente, sebbene in apparenza sembri cosa da poco, renda in realtà una persona davvero completa e perfetta nel bene. Una sola applicazione, rapida, per intenderci. In un piccolo squarcio di morale domestica, San Paolo indica i doveri di ciascun membro della famiglia nei confronti degli altri: dei mariti nei confronti delle mogli, delle mogli nei confronti dei mariti, dei figli nei confronti dei genitori e dei genitori nei confronti dei figli
: “Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore (…). E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei (…). Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto (…). E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell'educazione e nella disciplina del Signore” (Ef 5, 22b; 25; 6, 1; 4). Non è affatto difficile da capire che, se ogni uomo vivesse dando a ciascuno ciò che gli spetta – come in famiglia così in qualsiasi altro contesto – fiorirebbe immediatamente la pace su questa terra: ecco perché è tanto importante il concetto “opus iustitiae pax”. È quasi “automatico” che ci sia vera pace laddove c'è il rispetto della vera giustizia.

Per dare un senso ancora più pieno al concetto di giustizia, occorre tener presente ciò che biblicamente si intende per essa e che si trova riassunto in questo versetto del libro del Deuteronomio:
“La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore Dio nostro, come ci ha ordinato” (Dt 6, 25). Troviamo qui espresse le esigenze della piena e perfetta giustizia, verso Dio e verso il prossimo. Ciò che insegna la rivelazione biblica è che la giustizia si realizza nel perfetto adempimento della volontà divina la quale, a sua volta, si esprime in modo manifesto nei precetti della santa legge di Dio. Si stia attenti, però, ad una cosa. L’osservanza della legge non va intesa in senso formalistico-legalistico, il che condurrebbe a una deriva farisaica stigmatizzata con grande energia dal Signore Gesù. Tale mentalità produce mostri, non santi. L’osservanza della legge di Dio, in realtà, va intesa nella logica dell’amore. Rispondendo alla domanda rivoltagli sul primo dei comandamenti, Gesù disse: “Il primo è: ‘Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza’. E il secondo è questo: ‘Amerai il prossimo tuo come te stesso’. Non c'è altro comandamento più importante di questo” (Mc 12, 29-31). Ama il Signore tuo Dio e il prossimo tuo come te stesso: in questi due comandamenti è racchiusa tutta la Legge. Per non equivocare, tuttavia, il senso genuino dell’amore e per viverlo nella verità e secondo tutte le sue esigenze occorre l’osservanza dei comandamenti, nei quali l’amore si sostanzia (secondo il principio-guida: “fa quello che Dio vuole”). Altrimenti esso si tramuterebbe in sterile e fallace sentimentalismo. Peggio, in paravento per nutrire e gonfiare l’egoismo [che si esprime nella volontà di peccare, secondo il principio-guida: “fa quello che vuoi” → fede senza opere: “pecca fortiter et crede fortius” (Lutero)].

Se, ora, volessimo sintetizzare l’intero discorso potremmo dire che chi ama Dio totalmente e il prossimo suo come sé stesso, osservando in tutto la legge di Dio e dando a ciascuno ciò che gli spetta è veramente giusto. Chi vive in questo modo è costruttore di pace in sé e attorno a sé. C’è da fare, a questo punto, un ulteriore rilievo. Il giusto, nella mentalità biblica, è il santo (e viceversa). Santità e giustizia sono sinonimi. Così, quando nella Sacra Scrittura si vuole indicare che un patriarca, un profeta o un qualsiasi altro uomo di Dio è
santo si dice che è giusto. L'emblema di questo paradigma è San Giuseppe, definito giusto in quanto santo: egli era santo proprio perché era giusto. Il santo, vivendo santamente, dà somma gloria a Dio e chi dà somma gloria a Dio risponde in pieno alla propria vocazione umana e cristiana e così, accumulando meriti su meriti, sarà un giorno premiato per sempre in Paradiso con una gloria eterna.

Pax, caritas et gratia Dei

Ci sarebbe, in ultimo, da spendere una parola circa la parte che ha la grazia divina in queste relazioni che illuminano il senso della vera pace e conducono verso di essa il cuore dell'uomo. Ordine, pace, giustizia, santità, grazia: tutte realtà necessarie all'uomo per possedere Dio e goderlo in questa vita e nell'altra. Dove c'è ordine vero c'è pace vera perché c'è assenza di male, assenza di peccato, assenza di offesa a Dio, assenza di ogni genere di ingiustizia verso Dio e verso l'uomo. Chi vive davvero in questo modo non può non essere sotto il costante e vivificante influsso della grazia santificante e dove c'è grazia divina c'è presenza viva di Dio nell'anima e dove c'è Dio, come già detto, nulla manca all'uomo.

C’era qualcuno, trai santi, che diceva:
“Mio Dio, sono disposto anche ad andare all'inferno se così vuoi purché all'inferno io ti possa amare”. Si tratta di un ovvio paradosso funzionale, però, a evidenziare che quando un'anima, vivendo nella grazia di Dio e nella pace, è in grado di amare Dio neppure “l’inferno” potrebbe toglierle quel bene più grande di ogni altro che è l'amore di quel Dio che ci ha creati e ci ha salvati. Se intendiamo “inferno” in senso metaforico e non escatologico (come è giusto fare), allora risulta chiaro che questa espressione non solo è vera ma ci illumina profondamente: qualsiasi situazione su questa terra, fosse anche la più tragica, dolorosa, assurda, “infernale”, se non ci toglie la grazia non ci toglie l'amore di Dio e se non ci toglie la grazia e l'amore di Dio non ci toglie la pace.

Sta a noi, ora, riflettere su queste realtà ed impegnarci, con l'aiuto di Dio, a renderle vive e operanti nella nostra esistenza perché, ovunque e in tutti, possa regnare la pace, ricordando ancora una volta che dove c'è pace c'è Dio e dove c'è Dio c'è appagamento pieno, gioia, felicità e ogni altro bene: “La pace è la semplicità dello spirito, la serenità della mente, la tranquillità dell'anima, il vincolo dell'amore. La pace è l'ordine, è l'armonia in tutti noi: ella è un continuato godimento, che nasce dal testimonio della buona coscienza: è l'allegrezza santa di un cuore, in cui vi regna Iddio. La pace è il cammino alla perfezione, anzi nella pace si trova la perfezione, e il demonio, che conosce assai bene tutto questo, fa tutti gli sforzi per farci perdere la pace” (San Pio da Pietrelcina).

fra Pietro (TdM)


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