Perchè Dio ha creato Giuda se sapeva che si sarebbe dannato? Risponde un grande teologo, il servo di Dio Pier Carlo Landucci
Non ho mai ben capito perché, parlando di Giuda, il Signore dica : « Sarebbe stato meglio per lui se non fosse nato » (Mt. 26, 24). La non esistenza sarebbe dunque preferibile al cattivo uso della libertà ? E questo « meglio » non dipende proprio da Gesù, in quanto Dio ? (31. S. - Palermo).
Dirò subito che coloro che, per giustificare la creazione di Giuda da parte di Dio, che pur ne prevedeva il tragico destino, si appellano solo al « meglio » dell’esistere, rispetto al non esistere, giocano sull’equivoco, impostando male il problema.
È vero che l’esistere è un bene - è può dirsi quindi anche un meglio, rispetto al nulla : « meglio che nulla » - in quanto metafisicamente l’ente è bene e il male è privazione di ente. Come anche è vero che Iddio produce l’ente e quindi il bene, mentre il male è opera soltanto della creatura. In tal senso anche i dannati sono un bene e mentre da un lato danno a Dio la gloria, sul piano metafisico, per essere da lui entitativamente prodotti e conservati, gliela dànno anche eternamente sul piano morale come testimonianza della perfetta e invincibile divina giustizia, la quale punisce il disordine (la privazione di ente) di cui è esclusivamente responsabile la libera creatura. Ma l’equivoco di questa soluzione del problema sta nel riferirsi ad alcuni aspetti soltanto del « meglio », cioè all’aspetto metafisico dell’esistere, e a quello morale della sola giustizia, trascurando quello morale del merito, del premio, della eterna felicità (che sono poi altre categorie dell’ente).
Da quest’altro aspetto è evidente che per Giuda sarebbe stato immensamente meglio che non fosse nato, onde non perpetrare il grande misfatto e non trovarsi con dannato alle conseguenti eterne pene. La suddetta frase di Gesù non fa che tradurre l’altro suo ammonimento, rivolto a tutti gli uomini: « Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l’anima sua ? » (Mt. 15, 26). È quindi chiaro che nel significato pieno il vero meglio di Giuda sarebbe stato di esistere, di non peccare e di godere eternamente, dando a Dio la gloria non solo dell’esistere e della giustizia ma anche del fedele servizio, del gaudio e dell’amore.
Ora è proprio tale meglio integrale che costituiva il fine prestabilito da Dio nei riguardi di Giuda, prestabilito con volontà 'positiva, ma condizionata alla libera corrispondenza di Giuda alle divine grazie.
Tale previsto « meglio » per Giuda sarebbe in definitiva dovuto derivare da tre fattori: dall’esistere, dalla preordinata felicità eterna e dall’onore di ottenerla come premio di libera e meritoria conquista (attingendo le grazie dalla libera e infinitamente meritoria immolazione del divino Redentore). Tale il programma divino, sia per Giuda che per tutti gli uomini, magnifico e degno di Dio e della libera creatura. È chiaro però che, essendo un programma imperniato nella meritoria vittoria del libero combattimento morale, esso implica la possibilità e la divina permissione della colpevole sconfìtta dei dannati, come purtroppo si è realizzato per Giuda. Si badi bene però di non equivocare sul concetto di combattimento, assimilandolo a quello della guerra materiale, perché mentre nella guerra la sconfitta e la morte sono completamente involontarie, nel combattimento per la salvezza eterna la sconfitta è totalmente volontaria in conseguenza cioè del respingere le grazie elargite per tutti e per ognuno dalla misericordiosa immolazione salvifica di Gesù».
Nel quadro pertanto di tale economia di meritoria salvezza l’ipotesi della non creazione dei previsti sconfìtti non è ammissibile. Essa infatti significherebbe sconvolgere il normale svolgimento di tale piano, la cui caratteristica di combattimento non può non implicare vittorie e sconfitte, sia in linea di possibilità che in linea di fatto. Tuttavia, pur nel pieno rispetto di tale programma, la sapienza e la misericordia divina nuovamente risaltano nel mettere a servizio del merito dei buoni la permessa sconfìtta dei cattivi, il che ha avuto il suo culmine nella sconfitta di Giuda, che ha servito al trionfo di Cristo sulla croce.
...............
Gesù Cristo ha scelto per la redenzione déll'umanità la via della passione. Scelta questa via, il peccato di Giuda era elemento indispensabile. Guai se egli non avesse compiuto il tradimento. La redenzione umana non sarebbe avvenuta. (F. S. - Bolzano).
Giuda non è quindi il più prezioso benefattore della umanità? E allora gli si innalzi un monumento. Già, ma siccome egli compì il misfatto sotto l’istigazione di Satana (Giovanni 13, 2.27), bisognerebbe far prima un monumento a Beelzebub; e poi, per giustizia, ai progenitori, autori del peccato originale senza il quale la tentazione di Giuda non ci sarebbe stata; e, in generale, almeno uno complessivo a tutti i peccatori che sono stati il motivo della passione redentrice di Gesù, col titolo: « Ai caduti di tutte le malvagità... ».
A questo punto però verrebbe il problema della degna sede di tutti questi monumenti. Ma è ovvio: andrebbero evidentemente messi all’inferno... Sono grato all’amico lettore F. S. di avermi dato l’occasione di richiamare l’attenzione su un equivoco tanto diffuso, che gravita intorno al grande problema della predestinazione.
È certo. Senza il tradimento di Giuda, la morte di Gesù, in quelle circostanze così tragiche e meritorie, non sarebbe avvenuta. Esso era quindi veramente indispensabile per creare tali circostanze e quindi, nel quadro del divino piano redentivo, non poteva non avvenire. Come vede, sig. F. S., io do alla sua affermazione la massima portata. Ma eccoci al punto. Se ne può forse dedurre che Giuda fosse quindi necessitato al tradimento? E che Iddio lo volesse? No. Si trattava di un fatto semplicemente previsto e permesso.
Previsto, senza dubbio, con l’infallibile certezza derivante dalla perfetta e misteriosa conoscenza e dal trascendente dominio che Iddio ha di tutto l’avvenire, ma come atto tuttavia compiuto dalla libera scelta di Giuda. Previsto come colpa: se non ci fosse stata libertà non ci sarebbe stata colpa. E permesso. Il che è molto diverso da positivamente voluto. Gesù lo ha tanto poco positivamente voluto, che è morto proprio per riparare l’oltraggio dato al Padre da quel peccato, come da tutti gli altri. « Permesso » vuol dire solo che Dio ha rispettato la libertà di Giuda, nel medesimo modo come rispetta la libertà di tutti gli altri uomini. Questo rispetto non significa l’abbandono degli uomini a sé stessi. Iddio insegue invece misericordiosamente tutti con la sua grazia come ha inseguito, con suprema misericordia, anche Giuda traditore; ma esclude ordinariamente quegli interventi miracolosi, che sconvolgerebbero il normale svolgimento della libertà umana.
Nel caso dunque era previsto e permesso l’abuso della libertà in Giuda e quindi il « male ». Permesso, ho detto, per rispetto alla libertà di esso. Ma non basta. Interviene un altro principio: Iddio non permette un male che per un bene maggiore. Oltre il bene della manifestazione della libertà umana, vi era per l’appunto l’infinito bene della sua salvifica passione. Ecco in che senso, con espressione paradossale, si può parlare della « felice colpa » di Adamo, che motivò, in radice, la meravigliosa opera della Redenzione. Lo canta la Chiesa, per Adamo, nel Sabato Santo: « O felix culpa quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem »: « O colpa felice che meritò di avere tale e sì grande Redentore ! ». Personalmente, purtroppo, Giuda non raccolse i frutti dell’olocausto redentivo di Gesù, perché, invece di pentirsi si disperò.
Ma anche dopo il tradimento, se si fosse pentito, li avrebbe potuti trarre abbondantissimi: anche per lui il misfatto, per divina misericordia, sarebbe potuto divenire occasione del « bene maggiore » d’una infiammata riparazione santificatrice. È ciò che avvenne, per es., per un altro che momentaneamente tradì: S. Pietro, il quale, nel tragico disorientamento della cattura di Gesù e della fuga di tutti, ripetutamente rinnegò il divino Maestro (Matteo 26, 70.72.74), ma poi, incontratosi con lo sguardo di Gesù (Luca 22, 61), anziché disperarsi « diede in amaro pianto », di pentimento (ivi 62) e divenne il grande martire, fondamento di tutta la Chiesa.
Tratto da
Mons. Pier carlo Landucci, Cento problemi di Fede, Pro Civitate Christiana, Assisi 1962 (VI edizione), pp. 408-410; 221-223.
Dirò subito che coloro che, per giustificare la creazione di Giuda da parte di Dio, che pur ne prevedeva il tragico destino, si appellano solo al « meglio » dell’esistere, rispetto al non esistere, giocano sull’equivoco, impostando male il problema.
È vero che l’esistere è un bene - è può dirsi quindi anche un meglio, rispetto al nulla : « meglio che nulla » - in quanto metafisicamente l’ente è bene e il male è privazione di ente. Come anche è vero che Iddio produce l’ente e quindi il bene, mentre il male è opera soltanto della creatura. In tal senso anche i dannati sono un bene e mentre da un lato danno a Dio la gloria, sul piano metafisico, per essere da lui entitativamente prodotti e conservati, gliela dànno anche eternamente sul piano morale come testimonianza della perfetta e invincibile divina giustizia, la quale punisce il disordine (la privazione di ente) di cui è esclusivamente responsabile la libera creatura. Ma l’equivoco di questa soluzione del problema sta nel riferirsi ad alcuni aspetti soltanto del « meglio », cioè all’aspetto metafisico dell’esistere, e a quello morale della sola giustizia, trascurando quello morale del merito, del premio, della eterna felicità (che sono poi altre categorie dell’ente).
Da quest’altro aspetto è evidente che per Giuda sarebbe stato immensamente meglio che non fosse nato, onde non perpetrare il grande misfatto e non trovarsi con dannato alle conseguenti eterne pene. La suddetta frase di Gesù non fa che tradurre l’altro suo ammonimento, rivolto a tutti gli uomini: « Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l’anima sua ? » (Mt. 15, 26). È quindi chiaro che nel significato pieno il vero meglio di Giuda sarebbe stato di esistere, di non peccare e di godere eternamente, dando a Dio la gloria non solo dell’esistere e della giustizia ma anche del fedele servizio, del gaudio e dell’amore.
Ora è proprio tale meglio integrale che costituiva il fine prestabilito da Dio nei riguardi di Giuda, prestabilito con volontà 'positiva, ma condizionata alla libera corrispondenza di Giuda alle divine grazie.
Tale previsto « meglio » per Giuda sarebbe in definitiva dovuto derivare da tre fattori: dall’esistere, dalla preordinata felicità eterna e dall’onore di ottenerla come premio di libera e meritoria conquista (attingendo le grazie dalla libera e infinitamente meritoria immolazione del divino Redentore). Tale il programma divino, sia per Giuda che per tutti gli uomini, magnifico e degno di Dio e della libera creatura. È chiaro però che, essendo un programma imperniato nella meritoria vittoria del libero combattimento morale, esso implica la possibilità e la divina permissione della colpevole sconfìtta dei dannati, come purtroppo si è realizzato per Giuda. Si badi bene però di non equivocare sul concetto di combattimento, assimilandolo a quello della guerra materiale, perché mentre nella guerra la sconfitta e la morte sono completamente involontarie, nel combattimento per la salvezza eterna la sconfitta è totalmente volontaria in conseguenza cioè del respingere le grazie elargite per tutti e per ognuno dalla misericordiosa immolazione salvifica di Gesù».
Nel quadro pertanto di tale economia di meritoria salvezza l’ipotesi della non creazione dei previsti sconfìtti non è ammissibile. Essa infatti significherebbe sconvolgere il normale svolgimento di tale piano, la cui caratteristica di combattimento non può non implicare vittorie e sconfitte, sia in linea di possibilità che in linea di fatto. Tuttavia, pur nel pieno rispetto di tale programma, la sapienza e la misericordia divina nuovamente risaltano nel mettere a servizio del merito dei buoni la permessa sconfìtta dei cattivi, il che ha avuto il suo culmine nella sconfitta di Giuda, che ha servito al trionfo di Cristo sulla croce.
...............
Gesù Cristo ha scelto per la redenzione déll'umanità la via della passione. Scelta questa via, il peccato di Giuda era elemento indispensabile. Guai se egli non avesse compiuto il tradimento. La redenzione umana non sarebbe avvenuta. (F. S. - Bolzano).
Giuda non è quindi il più prezioso benefattore della umanità? E allora gli si innalzi un monumento. Già, ma siccome egli compì il misfatto sotto l’istigazione di Satana (Giovanni 13, 2.27), bisognerebbe far prima un monumento a Beelzebub; e poi, per giustizia, ai progenitori, autori del peccato originale senza il quale la tentazione di Giuda non ci sarebbe stata; e, in generale, almeno uno complessivo a tutti i peccatori che sono stati il motivo della passione redentrice di Gesù, col titolo: « Ai caduti di tutte le malvagità... ».
A questo punto però verrebbe il problema della degna sede di tutti questi monumenti. Ma è ovvio: andrebbero evidentemente messi all’inferno... Sono grato all’amico lettore F. S. di avermi dato l’occasione di richiamare l’attenzione su un equivoco tanto diffuso, che gravita intorno al grande problema della predestinazione.
È certo. Senza il tradimento di Giuda, la morte di Gesù, in quelle circostanze così tragiche e meritorie, non sarebbe avvenuta. Esso era quindi veramente indispensabile per creare tali circostanze e quindi, nel quadro del divino piano redentivo, non poteva non avvenire. Come vede, sig. F. S., io do alla sua affermazione la massima portata. Ma eccoci al punto. Se ne può forse dedurre che Giuda fosse quindi necessitato al tradimento? E che Iddio lo volesse? No. Si trattava di un fatto semplicemente previsto e permesso.
Previsto, senza dubbio, con l’infallibile certezza derivante dalla perfetta e misteriosa conoscenza e dal trascendente dominio che Iddio ha di tutto l’avvenire, ma come atto tuttavia compiuto dalla libera scelta di Giuda. Previsto come colpa: se non ci fosse stata libertà non ci sarebbe stata colpa. E permesso. Il che è molto diverso da positivamente voluto. Gesù lo ha tanto poco positivamente voluto, che è morto proprio per riparare l’oltraggio dato al Padre da quel peccato, come da tutti gli altri. « Permesso » vuol dire solo che Dio ha rispettato la libertà di Giuda, nel medesimo modo come rispetta la libertà di tutti gli altri uomini. Questo rispetto non significa l’abbandono degli uomini a sé stessi. Iddio insegue invece misericordiosamente tutti con la sua grazia come ha inseguito, con suprema misericordia, anche Giuda traditore; ma esclude ordinariamente quegli interventi miracolosi, che sconvolgerebbero il normale svolgimento della libertà umana.
Nel caso dunque era previsto e permesso l’abuso della libertà in Giuda e quindi il « male ». Permesso, ho detto, per rispetto alla libertà di esso. Ma non basta. Interviene un altro principio: Iddio non permette un male che per un bene maggiore. Oltre il bene della manifestazione della libertà umana, vi era per l’appunto l’infinito bene della sua salvifica passione. Ecco in che senso, con espressione paradossale, si può parlare della « felice colpa » di Adamo, che motivò, in radice, la meravigliosa opera della Redenzione. Lo canta la Chiesa, per Adamo, nel Sabato Santo: « O felix culpa quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem »: « O colpa felice che meritò di avere tale e sì grande Redentore ! ». Personalmente, purtroppo, Giuda non raccolse i frutti dell’olocausto redentivo di Gesù, perché, invece di pentirsi si disperò.
Ma anche dopo il tradimento, se si fosse pentito, li avrebbe potuti trarre abbondantissimi: anche per lui il misfatto, per divina misericordia, sarebbe potuto divenire occasione del « bene maggiore » d’una infiammata riparazione santificatrice. È ciò che avvenne, per es., per un altro che momentaneamente tradì: S. Pietro, il quale, nel tragico disorientamento della cattura di Gesù e della fuga di tutti, ripetutamente rinnegò il divino Maestro (Matteo 26, 70.72.74), ma poi, incontratosi con lo sguardo di Gesù (Luca 22, 61), anziché disperarsi « diede in amaro pianto », di pentimento (ivi 62) e divenne il grande martire, fondamento di tutta la Chiesa.
Tratto da
Mons. Pier carlo Landucci, Cento problemi di Fede, Pro Civitate Christiana, Assisi 1962 (VI edizione), pp. 408-410; 221-223.